ETICA MEDICA E TRADIZIONE EBRAICA Uomini, animali e piante: quali regole per la sperimentazione
Questo intervento è stato proposto nel corso di un incontro del ciclo di seminari organizzati da Biblioteca Ambrosiana e Associazione Medica Ebraica, e promossi da CO.RE.IS Italiana, Collegio IPASVI MI‐LO‐MB, Fondazione IRCCS Ca’ Granda. Il prossimo incontro ““Accoglienza e rispetto del pluralismo religioso e culturale nelle strutture sanitarie”, è in programma giovedì 14 aprile alle 16.30. Tra i relatori rav Ariel Di Porto, rabbino capo di Torino, e Giorgio Mortara, presidente dell’Associazione Medica Ebraica e consigliere dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane.
Il progresso medico non può prescindere dalla sperimentazione su animali e, successivamente, su esseri umani. Quali sono i criteri per una sperimentazione regolamentata? In generale, si ritiene che sia sufficiente il consenso informato da parte del paziente. È ormai pratica comune che qualsiasi terapia e trattamento medico, tanto più se sperimentale, richieda la firma di appositi moduli da parte del paziente (o di un familiare, nel caso di pazienti minori o altrimenti impossibilitati a decidere). D’altra parte, è difficile che il paziente sia veramente informato; molto spesso il suo consenso è piuttosto influenzato dalla volontà del medico o dello sperimentatore. In campo ebraico, per molto tempo non ci si è occupati della questione, forse anche perché essa non era stata sottoposta all’attenzione delle autorità rabbiniche. Rabbi I. Jakobovits è stato fra i primi importanti rabbini a interessarsi a fondo del problema. In sintesi, i punti principali su cui ci si deve basare per una disamina della questione sono: il valore della vita è infinito (questo punto ha rilevanza anche per la discussione sull’eutanasia); ogni possibilità di cura, anche lontana, in grado di salvare una vita umana va messa in atto a tutti i costi; l’obbligo di preservare una persona da eventuali rischi per la sua vita o la sua salute ricade su ognuno che sia in grado di farlo (“Non rimanere inerte quando il tuo prossimo è in pericolo”, Levitico 19: 16); ogni vita ha lo stesso valore, senza distinzione di età, stato di salute, livello sociale o culturale; non si ha il diritto di rifiutare una cura atta a salvare la propria vita se ritenuta necessaria da medici competenti; terapie, anche quelle che comportino una certa dose di rischio, possono essere intraprese se hanno lo scopo di impedire una morte altrimenti certa. Sulla base di queste premesse, Rabbi Jakobovits conclude che cure sperimentali eventualmente rischiose possono essere condotte sull’uomo solo se esse sono potenzialmente utili al paziente stesso; inoltre, è obbligatorio tentare terapie, anche non ancora sperimentate a sufficienza, su pazienti seriamente ammalati se altre cure non sono disponibili. In casi diversi da questi, non è lecito sottomettersi a terapie sperimentali o sottomettervi altre persone, anche con il loro consenso. Se però la terapia sperimentale non implica rischi per la vita o la salute e può promuovere il progresso medico, è doveroso per chiunque possa farlo offrirsi volontario. Il consenso da parte del paziente è meno rilevante, in questo caso, dell’opinione di un medico competente e della valutazione obiettiva dell’effettiva necessità della cura e dei suoi rischi (1).
È certamente preferibile, qualora possibile, effettuare la sperimentazione su animali, piuttosto che sull’uomo. Ma anche la sperimentazione sugli animali è ammessa solo se non ci sono altri mezzi per ottenere le stesse informazioni utili al progresso delle cure mediche; inoltre, si deve fare tutto il possibile per prevenire inutili sofferenze da parte dell’animale o per alleviarle (2). Il divieto di procurare dolore agli animali (tzà‘ar ba‘alè chayìm) è una delle esplicite proibizioni della legislazione ebraica (3).
Le biotecnologie
Si è già detto sopra, riguardo alla sperimentazione sugli embrioni e sulle cellule staminali, che la concezione ebraica è favorevole alla ricerca scientifica e allo sviluppo tecnologico. La Torà afferma che la prima coppia umana fu posta nel giardino dell’Eden per “lavorarlo e custodirlo” (Genesi 2: 15). Uno dei significati di queste parole è che l’uomo ha il diritto-dovere di coltivare la terra e di civilizzarla (“lavorarla”); d’altra parte, la Terra va anche preservata (“custodita”) e non portata alla distruzione. Non ogni intervento nella natura è permesso: la Torà proibisce, ad esempio, una serie di “mescolanze”, come la creazione di specie animali ibride (p. es., è vietato far accoppiare cavalle e asini per far nascere muli) o l’innesto di una pianta su una di specie diversa. La Torà non spiega il significato di questi divieti, ma generalmente essi vengono interpretati come un’indicazione che non si debba sovvertire la natura del mondo. Sulla base di questa concezione, c’è chi ha voluto proibire l’ingegneria genetica, ma secondo la maggior parte dei decisori rabbinici essa non rientra nella proibizione, soprattutto quando è finalizzata alla terapia di malattie (p. es., per la produzione di insulina ricombinante). Infatti, negli organismi geneticamente modificati (Ogm) non si “mescola” in genere un organismo intero con un altro, ma si preleva una minima porzione del DNA (ossia il patrimonio genetico) di un organismo per introdurlo in un altro.
Il problema principale riguardo all’utilizzazione degli Ogm non è una questione di principio, quanto piuttosto la valutazione di un’eventuale pericolosità dei cibi transgenici. Secondo una precisa norma della Torà è vietato procurare un danno alla propria o altrui salute: se in base all’opinione degli esperti alcuni Ogm fossero dannosi per la salute, allora tali cibi – a prescindere da qualsiasi considerazione sul loro essere specie ibride – sarebbero vietati proprio in quanto dannosi. In caso contrario, l’ottimizzazione di colture e prodotti tramite le biotecnologie, al fine di apportare un maggiore livello di elementi nutritivi, minerali o vitamine, non solo sarebbe sicuramente un atto lecito ma verrebbe anche considerato come un adempimento a un precetto della Torà (4). Il fornire gli alimenti a chi è affamato, come è il caso degli abitanti dei paesi del terzo e quarto mondo che hanno problemi di sovrappopolazione e di carenza di cibo, è infatti considerato un dovere religioso e morale della massima importanza.
Gianfranco Di Segni, rabbino
Collegio Rabbinico Italiano e Istituto di Biologia Cellulare e Neurobiologia, CNR, Roma
1) I. JAKOBOVITS, Jewish Medical Ethics: A Comparative and Historical Study of the Jewish Religious Attitude to Medicine and Its Practice, II ed., Bloch, New York 1975, pp. 292-294; ID., Medical experimentation on humans in Jewish law, in «Proceedings of the Associations of Orthodox Jewish Scientists», vol. 1, New York 1968.; ABRAHAM STEINBERG, Encyclopedia of Jewish Medical Ethics, Feldheim Publishers, Jerusalem – New York 2003,
2) I. JAKOBOVITS, Jewish Medical Ethics, cit., p. 294 e p. 409, n. 160.
3) RACHEL NAHMANY SEGAL, Gli animali nell’Ebraismo rabbinico, in «La Rassegna Mensile d’Israel», LXX (2004), n. 3, pp. 55-76.
4) AHARON FAIT e MICHAEL BEYO, In principio l’uomo creò il clone, Franco Angeli, Milano 2005, pp. 43-69; GIANFRANCO DI SEGNI, Innovazione ed Etica: un punto di vista ebraico, in GIUSEPPE ARDRIZZO (a cura di), Governare l’innovazione, Rubbettino, 2003, pp. 182-184.