Il gioco pulito di Rivera
Questo libro è come il suo autore, genuino sino all’ingenuità e pretenzioso fino allo snobismo. Rivera giocava così, passaggi naturali quanto spiazzanti e spostamenti sul campo comprensibili solo ai migliori tattici del “più bel gioco del mondo”. Così era il calcio quando c’era lui, un calcio adolescente e ‘povero’, straordinario ed elegante, ma forse sono i miei 62 anni a farmelo scrivere. E qui – invece di esercitarmi con questo librone di 4 chili (l’ho pesato ) -, dovrei raccontarvi dei miei 10 anni, all’Assassino di Milano, il ristorante del Milan dove un giorno, al piccolo Valerio, il grande Rivera (ma aveva vent’anni) disse “Ciao”. No, non lo farò, solo un omaggio doppio, anzi triplo, lo devo: a mio padre Sergio, Juventino ma papà, a Nereo Paròn Rocco ( suo compagno di triestinità a Milano), a Cesare Maldini (altro ‘mulo’ de San Siro, da poco scomparso). Indimenticabili, per me, tutti e tre.
530 pagine di grande formato, a colori per lo più, raccontano per parole e fotografie la vita di Gianni Rivera secondo lui. Dai primi tocchi ad Alessandria all’addio al calcio. C’è anche qualcosa della vita sociale e politica del Gianni ‘nazionale’, ma è ai margini, e dimostra come l’uomo ha continuato a giocare pulito anche dopo aver smesso le scarpette chiodate.
Rivera ha scritto questo volume perché “quello che ho vissuto ieri e quello che vivo oggi sia messo a disposizione degli altri, di chi mi ama, mi rispetta e di quelli che invece sono al lato opposto. Per chiunque veda in me, al di là del campione, l’uomo che si è comportato correttamente e anche rigidamente. Alla fine solo io potrò dare le risposte, le verità che ritengo che in questo momento della mia vita debbano essere note”. Come è evidente, il mix di orgoglio e risentimento che ha caratterizzato già da giocatore i comportamenti di Rivera non è cambiato (i suoi battibecchi eleganti quanto spietati con gli arbitri – Lo Bello in particolare – e le sue vicende con la Nazionale italiana sono leggendari).
Ma questo libro è anche molto di più: è una storia del calcio italiano, dunque del costume italiano, dunque del nostro paese tout court. Le centinaia di pagine con i ritagli dei giornali, dalla Gazzetta dello Sport ai rotocalchi; le foto di Rivera che gioca; i documenti di viaggio e identità; le curiosità; i suoi compagni di gioco; le donne della sua vita; i suoi sogni e bisogni; le sue delusioni, le sue rabbie, i suoi desideri; le sue vittorie, le sue sconfitte; gli smacchi e i trionfi. Niente è nascosto, con una spietata consapevolezza di sé che si fa, alla fine, ingenuità quasi commovente.
E anche la grafica, il modo con cui tutto ciò è raccontato sia a parole sia per immagini, è di una autenticità che sconfina qua e là nella rozzezza. Capisco bene perché nessun editore tradizionale avrebbe potuto pubblicare questo volume, che è in vendita – a 50 euro, spedizione compresa – solo per via diretta. Ma godo della sprezzante e umile idea di Rivera e di sua moglie: pubblicare senza pudore, e senza imposizioni editoriali, un libro monumento come questo.
Certo, si divertiranno di più coloro che Rivera lo hanno visto giocare, che sanno chi era Gianni Brera, o Padre Eligio, che hanno visto in televisione i due minuti che hanno cambiato la storia del giocatore, e del Paese – fra il gol subito per colpa quasi tutta sua e quello segnato, grazie a un passaggio smarcante altrui e al senso della posizione, alla determinazione assoluta di Rivera. Ma consiglio questo libro sfacciato e onesto a chiunque, donne incluse. Rivera era (è) anche bello, di quella bellezza semplice e arrendevole che è dei fuoriclasse, ed è una vergogna che non sia lui alla presidenza della nostra Federazione Gioco Calcio. Ma, già: lui è Rivera, sono sempre tempi duri per i troppo buoni.
Valerio Fiandra
(14 aprile 2016)