…globale

In Europa e un po’ in tutto il mondo occidentale uscito dalla devastazione del secondo conflitto mondiale siamo arrivati alla conclusione necessaria e altamente morale che non avremmo mai più voluto e potuto regolamentare i conflitti attraverso l’uso delle armi. Noi italiani lo abbiamo messo anche nell’articolo 11 della nostra Costituzione. Poi abbiamo sviluppato una ineffabile teoria della pace, dichiarandola valore e patrimonio imprescindibile a cui tendere in ogni momento come singoli e come nazioni. Facendo perno su questi due principi gemelli – no alla guerra e sì alla pace – abbiamo esteso il campo delle nostre relazioni umane, fondando le nostre società sul principio del progresso e dello sviluppo economico come solo strumento possibile per dare sostanza a quei due principi. La diffusione del benessere, ci siamo detti, comporterà l’abbandono progressivo delle pratiche di conflitto. Allora, ai tempi del miracolo economico, non tenevamo probabilmente conto che il mito del progresso infinito era già stato messo in discussione da non pochi filosofi nella prima metà del Novecento ed era miseramente affondato proprio nel secondo conflitto mondiale, nei carri bestiame che trasportavano deportati e nella tecnologia che aveva permesso Hiroshima e Nagasaki. Ma l’illusione era forte, e la lucentezza delle vetrine, l’imponenza dei grandi grattacieli, la velocità e comodità delle automobili, ci ha oscurato la vista. Per credere alla nostra illusione ci siamo così costruiti degli appositi occhiali, che ci hanno fatto vedere per decenni solo un mondo in crescita e progresso. Tutto continuava ad accadere (guerre, migrazioni, disastri ecologici causati dall’uomo), ma lontano dal mondo occidentale, là dove i nostri nuovi occhiali ci impedivano di guardare.
Oggi sento dire che tutti i nostri valori si stanno frantumando, ma se ci togliessimo quegli occhiali, con quelle strane lenti, magari riusciremmo ad accorgerci che la realtà non è proprio come ce la stiamo descrivendo. Immigrati? Ma, cari miei, quando mai nella storia degli uomini non ci sono stati migranti, per fame, per motivi politici o altro? Ce ne accorgiamo solo perché vengono ora in Europa? E la guerra: veramente la guerra è finita nel 1945, settantuno anni fa, come ci diranno speriamo in maniera poco retorica fra qualche giorno i rappresentanti delle istituzioni? O non si è spostata su altri scenari? Ed è solo se ci fanno esplodere un locale da concerti a Parigi, o un aeroporto a Bruxelles, che ce ne accorgiamo, che scopriamo che c’è la guerra? E le trivelle, i potenziali danni ambientali? Qualcuno mi può spiegare perché no alle trivelle in Adriatico e silenzio sulle trivelle in Mozambico? Forse che la nostra auto ecologica a gas è più ecologica se l’estrazione di quel gas causa subsidenza dei fondali a casa di qualcun altro che abita a cinquemila chilometri da me?
A me sembra che sia il caso di toglierci una volta per tutte dagli occhi quelle lenti fasulle, smetterla di pensare che la guerra sia un concetto astratto che ci riguarda solo se muoiono i nostri parenti, e fare giustizia dell’idea che la pace si possa semplicemente enunciare, e non comporti invece dei rischi. Come ha scritto Zygmunt Bauman, “in un pianeta vittima della globalizzazione negativa, tutti i problemi di fondo (…) sono globali, ed essendo globali non ammettono soluzioni locali, in nessun caso.” Diventa imprescindibile e urgente, ora, la costruzione di un vero sistema di Diritti sovranazionale.

Gadi Luzzatto Voghera, storico

(15 aprile 2016)