Cultura e tecnologia
La settimana scorsa ho partecipato a una presentazione della nuova edizione italiana del Talmud. Sono intervenuti Rav Riccardo Di Segni, la professoressa Clelia Piperno e Rav Gianfranco Di Segni, che in ruoli diversi sono stati motori dell’iniziativa. Un concerto di traduttori, redattori, revisori ed esperti che lavora con impegno da circa cinque anni e che, dopo aver dato la luce al primo dei quaranta trattati, conta di sfornarne un’altra decina nei prossimi mesi. Un impegno davvero straordinario reso possibile dalla lungimiranza delle istituzioni italiane, che hanno stanziato cinque milioni di euro e confermato il finanziamento tra un governo e l’altro, della visione di Clelia Piperno che per prima ha creduto nel progetto, e infine da una rete di rabbini e studiosi di tradizione italiana dislocati tra Italia, Stati Uniti e Israele.
Insomma, qualcosa di cui essere orgogliosi come ebrei e come italiani. A volte non riesco quasi a crederci, che nella nostra rissosa Comunità siamo riusciti a produrre un monumento così significativo.
Da sottolineare due aspetti culturali e organizzativi. Per tradurre un testo complesso come il Talmud (il libro più perseguitato nella Storia) occorrono tre competenze che difficilmente si sommano: conoscenza dell’ebraico/aramaico e della tradizione; padronanza dell’italiano; capacità informatica per interagire con il sistema di traduzione messo a punto dal centro CNR di Pisa. Una miscela quasi impossibile da trovare, che immagino abbia creato notevole stress, ma che certamente ha costituito una formidabile occasione di formazione per i quasi cento studiosi di ogni età e grado coinvolti. Infine, il software “Traduco”, messo a punto dai ricercatori del CNR. In sostanza, una piattaforma unica dove operano i traduttori, redattori e revisori, in grado non soltanto di mettere a sistema il lavoro dei singoli, ma soprattutto di velocizzare le operazioni, grazie alla capacità di riconoscere le formule tipiche del Talmud e i pezzi di testo già tradotti. Quando “Traduco” riconosce un gruppo di parole o una frase, suggerisce immediatamente la possibile traduzione, che lo studioso può naturalmente accettare, rifiutare, emendare, raffinare. In questa interazione tra cultura e tecnologia trovo che ci sia molto di ebraico e – banalmente – molto di talmudico.
Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas twitter @tobiazevi
(19 aprile 2016)