Qui Mantova – Ute, la Memoria ha la sua voce
Un successo. Prevedibile, certo, ma non per questo meno importante: “Songs for Eternity” ha fatto risuonare ieri a Mantova alcune delle migliaia di melodie composte nei campi di concentramento. Parole dolenti, che portano con sé la memoria di vicende terribili, accompagnate da musica struggente che ha riempito di emozione la piccola e bellissima sinagoga, un luogo che ha aggiunto al repertorio già emozionante e ricco di suggestioni il peso della storia della minoranza ebraica italiana. La voce di Ute Lemper e il pianoforte di Francesco Lotoro, con il violino dell’israeliano Daniel Hoffman, il bandoneon dell’argentino Victor Villena e clarinetto e contrabbasso di Andrea Campanella e Giuseppe Bassi hanno incantato e commosso il pubblico. Il concerto verrà riproposto questa sera al teatro Bibiena, dove potranno trovare posto i tantissimi che non hanno avuto modo di partecipare al primo appuntamento, che ha portato in sinagoga tutti i principali rappresentanti delle istituzioni mantovane. Oltre al presidente e a numerosi rappresentanti della Comunità ebraica, a prefetto, questore, presidente del consiglio comunale e provinciale erano presenti il vescovo, insieme al vicario generale della diocesi, e tutti coloro che hanno voluto sostenere l’iniziativa, inserita sia nella programmazione di Mantova Capitale italiana della cultura 2016 che in quella del programma che porterà a settembre alla ventesima edizione del Festivaletteratura.
A dare un’idea della forza e della capacità di un interprete nota in tutto il mondo anche per il suo lavoro di ricerca su un repertorio non facile, che spazia da Kurt Weil a Bertolt Brecht, erano bastate nel pomeriggio le ultime prove, in cui ha mostrato di essere rigorosa e severa. Ed estremamente generosa. “Non capisco, davvero non capisco, stiamo suonando a un ritmo completamente diverso”. Lo ripete più volte, ma non è il capriccio di una diva né una critica nei confronti dei musicisti. “Ho bisogno di avere chiara questa cosa, possiamo ripetere? L’essenza di tutto questo lavoro deve essere un pianto, non possiamo sporcare la musica, dobbiamo essere puliti, rigorosi, non voglio pasticci di note!” Implacabile, durante le prove Ute Lemper impressiona per il suo modo di lavorare. Chiede tantissimo ma almeno altrettanto dona ai musicisti con cui per due lunghi pomeriggi ha messo a punto un programma forte quanto difficile. Un vero e proprio animale da palcoscenico non ha risparmiato nulla a nessuno dei musicisti, fino ad arrivare a creare in pochissimo tempo e anche con i due con cui non aveva mai lavorato un rapporto di fiducia tale che le ha permesso, durante il concerto, di modificare quanto deciso durante le prove, di improvvisare e di lasciar scorrere libere le emozioni. Spesso prima di cantare ha raccontato il contenuto dei testi, mentre il compito di ricordare la storia di alcuni dei compositori era stata affidata a Moni Ovadia. “Si tratta di un repertorio a cui tengo enormemente, e anche se lo porto in giro da tanto tempo ogni volta è un’emozione nuova”. Stanca, visibilmente svuotata, Ute Lemper dopo il concerto ha comunque voluto condividere il senso di un percorso che la porta da anni a dare voce al dolore. “Ma anche alla voglia di ridere e di stare bene, non dimentichiamolo! Nei lager sono state composte anche cose sorprendentemente leggere: dalla musica popolare, al cabaret, moltissima è la produzione che chiaramente serviva a dare ai prigionieri qualche momento di serenità”. E proprio l’evidente volontà di non dimenticare i momenti belli del passato e di credere in un futuro possibile ha reso ancora più struggente un concerto che difficilmente verrà dimenticato.
Ada Treves twitter @atrevesmoked
(19 aprile 2016)