Periscopio
I teppisti noBrigata

lucreziLe solite, squallide gazzarre organizzate in occasione delle manifestazioni del 25 aprile, con i soliti teppistelli impegnati a impedire la partecipazione alle sfilate dei rappresentanti della Brigata Ebraica – in perfetta continuità e sintonia di spirito con coloro che il 25 aprile del 1945 (vista, come si dice a Napoli, la “mala parata”) andavano scappando o nascondendosi, o si affrettavano a sostituire le braccia tese con i pugni chiusi – sollecitano, come sempre, alcune considerazioni. Devo dire che, pur condividendo ovviamente tutte le espressioni di condanna – comunque, come sempre, troppo poche – che sono state pronunciate nei confronti di questi squallidi individui, non mi trovo pienamente d’accordo con alcuni di questi commenti critici, laddove gli squadristi sono stati definiti ‘ignoranti’, e sono stati invitati ad andare a studiare la storia. Secondo me, i loschi figuri, anche se probabilmente ignoranti, della storia hanno comunque capito benissimo l’essenziale, ossia il fatto che essa, da sempre, ha visto un continuo confronto tra le ragioni, da una parte, della violenza, del sopruso, del razzismo, della sopraffazione fisica ecc., e, dall’altra, quelle della tolleranza, del dialogo, della solidarietà, del rispetto ecc. Questo non è tanto difficile da capire, e questo perfino i teppisti “no-Brigata” l’hanno capito benissimo. Invitarli a studiare la storia è pertanto inutile, perché, per quel che a loro unicamente interessa, la conoscono benissimo. E, in piena coscienza e libertà, hanno deciso da che parte stare. Stupirsi della loro presenza e dei loro conati significa, a mio avviso, equivocare sul significato del 25 aprile, considerandolo come uno spartiacque non già tra due opposte visioni della vita – diritti per tutti o prepotenza dei più forti -, ma, piuttosto, tra due epoche alternative: un ‘prima’, il fascismo, e un ‘dopo’, la democrazia. Dato che gli odierni “boia chi molla” vivono nel ‘dopo’, sarebbero un anacronismo. Ma così non è, purtroppo, dal momento che non è assolutamente vero che con l’abbattimento del fascismo sarebbero state abbattuti,una volta per tutte, razzismo, prevaricazione, violenza ecc. ecc. Bisognerebbe essere davvero molto ingenui per pensarlo.
La cosa che appare però singolare e contraddittoria è che questi nostalgici dell’olio di ricino e delle leggi del ’38 vadano a sfilare accanto a coloro che, certamente in buona fede, celebrano la sconfitta del fascismo e l’affermazione dei valori della Costituzione repubblicana. E ciò sembra generare confusione e disorientamento: come mai i fascisti, invece di farsi il loro personale corteo di nostalgici, vanno a sfilare insieme ai loro avversari? Ma questa è una vecchia storia, che risale ai primi giorni di vita dell’Italia repubblicana, e a quello che, fin dal primo momento, ha significato, nel nostro Paese, il valore dell’antifascismo. Valore sacrosanto, fondante della nostra democrazia, dal momento che ha sancito la fine dell’infame dittatura che aveva soffocato la libertà, si era alleata con Hitler e aveva precipitato il Paese nella catastrofe della guerra. Ma anche valore intrinsecamente ambiguo ed equivoco, dal momento in cui si è fatto credere, tanto a lungo, che l’antifascismo fosse non già uno dei requisiti (magari, in considerazione della nostra storia, il primo e il più importante) per l’appartenenza alla civiltà democratica, bensì “il” requisito, l’unico. La “condizione necessaria e sufficiente”, come si dice, per la democrazia. In nome di questo grande equivoco abbiamo visto sempre, nelle parate del 25 aprile o del 1° maggio, sfilare dei figuri poco raccomandabili, talvolta incappucciati, sotto delle bandiere tanto democratiche quanto i leoni sono vegetariani. Ma che importa? Tutti insieme, appassionatamente, tutti a fare “fronte comune”, non si è mai capito bene in nome di che cosa, contro che cosa. Ricordo bene una sfilata del P maggio, a Napoli, nel 1976, durante la quale, in una bella giornata di sole, un gruppetto di ‘duri’ (a volto scoperto) sventolava, festosamente, le bandiere delle Brigate Rosse, nell’indifferenza generale.
In realtà, in questo Paese non c’è mai stata una seria riflessione su cosa sia stato e abbia significato il fascismo, e su cosa abbia significato, o avrebbe dovuto significare, la Liberazione. E, in nome del “volemose bene”, si è preferito assistere con noncuranza alla crescita di mille nuovi fascismi, sotto bandiere di altrettanti colori. E così l’antifascismo è diventato tanto largo e condiviso quanto falso e ipocrita. I fascisti di oggi non dicono niente di nuovo, urlando che gli ebrei non hanno diritto di parola e di cittadinanza, neanche quando ricordano, pensa un po’, quelli di loro cha andarono a morire per ridare dignità al nostro Paese. Fanno semplicemente il loro mestiere. Se andassero a sfilare da soli, poverini, si annoierebbero. Meglio tutti insieme, col resto della comitiva. Perché no?

Francesco Lucrezi, storico

(4 maggio 2016)