Le due ruote che salvano vite

Schermata 2016-05-08 alle 09.38.34Tutto è iniziato quando l’ambulanza sulla quale il diciassettenne Eli Beer lavorava come volontario negli anni Ottanta è rimasta bloccata nel traffico di Gerusalemme e non è riuscita ad arrivare in tempo per salvare un bambino che soffocava. Un’intuizione: per salvare vite bisognava arrivare prima, e l’unico modo per farlo era usare delle moto. Così Eli ha radunato una quindicina di coetanei del suo quartiere, che si sono messi ad ascoltare a turno i messaggi alla radio e a correre 24 ore su 24 in motorino per portare il primo soccorso in attesa dell’ambulanza. Nel 2006 quella squadra è diventata una vera e propria organizzazione, la United Hatzalah, che lavora ancora nello stesso modo, e grazie al lavoro dei suoi volontari e all’agilità delle sue moto-ambulanze, nel giro di massimo tre minuti riesce a portare il primo soccorso dovunque in tutto il paese. Negli ultimi anni, poi, la United Hatzalah è diventata addirittura un’organizzazione internazionale, arrivando in Brasile, a Panama, in Argentina, in Lituania e in alcune città degli Stati Uniti, e con un progetto anche per l’India. “L’idea di espanderci è venuta dal successo di un video di Eli, che in una Ted Talk del 2013 raccontava la sua esperienza e ha raccolto più di un milione di visualizzazioni” ha spiegato il direttore delle operazioni internazionali Dov Maisel. “Centinaia di persone hanno cominciato a contattarci da tutto il mondo – ha proseguito – da rappresentanti governativi a privati cittadini, ebrei e non ebrei”. Sono loro a cercare la UH, e la determinazione delle comunità ad avvalersi di questo servizio non conosce ostacoli. “Quando le persone mi chiamano, segnalo loro che sarà necessario lavorare a livello politico e municipale per superare varie procedure burocratiche, ma anche trovare i fondi per comprare le moto e l’attrezzatura”, ha quindi spiegato Maisel. In quel lontano 1989 Eli era “un ragazzo molto testardo, e del resto lo sono ancora”, racconta lui stesso nel celebre video. “Così ho deciso di usare una tecnica molto famosa di cui probabilmente molti di voi hanno sentito parlare… si chiama chutzpah”. Grazie a quell’audacia così ebraica la United Hatzalah conta oggi circa tremila volontari, che hanno curato solo in Israele 1.6 milioni di persone solo nei primi mesi del 2016, diventando un modello a livello mondiale. “Non esistiamo per rimpiazzare le ambulanze – ricorda Beer – ma siamo qui per coprire il lasso di tempo tra la chiamata all’ambulanza e quando essa arriva dal malato, dalla persona coinvolta in un incidente o ancora in un attacco terroristico”. Sempre nel 2013, la UH ha anche vinto un premio per la pace chiamato Victor J. Goldberg IIE Prize for Peace in the Middle East. Una delle sue caratteristiche infatti è quella di mettere insieme volontari provenienti da ogni contesto e da ogni zona di Israele, e prestando soccorso a tutti indistintamente secondo il principio che l’importante è salvare vite. “Ho visto così tante tragedie e così tanto odio – le parole di Beer – che ho capito che il punto non è salvare ebrei, non è salvare musulmani, non è salvare cristiani, ma è salvare persone”. E con la UH “è avvenuto qualcosa di speciale, perché un gruppo di persone ha scoperto di avere un interesse in comune, la volontà di aiutare gli altri”. In Israele, ha quindi aggiunto Maisel, “abbiamo volontari cristiani, musulmani, drusi e beduini accanto a volontari ebrei, ed estendere questa collaborazione ad altre comunità è una straordinaria opportunità per fare tikkun olam, riparare il mondo, e mostrare il bene che può venire da Israele”.

Francesca Matalon

(8 maggio 2016)