Il giorno delle prove
Ogni anno in occasione delle prove Invalsi (che si sono svolte ieri per tutti gli allievi del secondo anno delle scuole superiori) si scatena la sfida all’ultimo sangue tra favorevoli e contrari, tra chi rivendica una scuola senza vincoli e controlli e chi considera le prove comuni a tutti gli studenti d’Italia come lo strumento miracoloso che permetterà finalmente di garantire a tutti una scuola di qualità. Presi in mezzo tra queste posizioni estreme, entrambe ideologiche ed entrambe lontane dalla realtà, si fatica a ragionare pacatamente. Già in passato ho trattato questo tema discutendo la richiesta (secondo me assurda, e direi anche diseducativa) agli allievi di individuare “il” significato di un testo letterario o di una metafora scegliendolo tra quattro possibili (e a mio parere tutti e quattro corretti, così come molti altri che gli allievi avrebbero potuto proporre). Come se la bellezza di un testo letterario non stesse proprio nella sua apertura a molteplici interpretazioni. Avevo anche già avuto occasione di rilevare il paradosso di una prova svolta su carta che poi gli insegnanti dovranno trascrivere su computer (decine di risposte per decine di allievi, quindi molte ore di lavoro meccanico e assai poco gratificante). Aggiungo ora che, al di là dell’assurdità di un simile compito, sarebbe forse opportuno riflettere sulla ricaduta che questa prassi ha, o potrebbe avere, sull’immagine degli insegnanti: come si può pretendere infatti che gli allievi considerino autorevole una figura professionale che viene costantemente umiliata con mansioni ripetitive e meccaniche? Vale la pena inoltre di aggiungere la mia scoperta di quest’anno: le prove in realtà, contrariamente a quanto viene affermato, sono tutt’altro che anonime. Certo, l’allievo non scrive il proprio nome sul fascicolo e quindi l’identificazione non è immediata, ma risalire alla sua identità è comunque assai agevole dato che per ciascuno esiste un codice identificativo. È vero che anche in questa, come in altre circostanze, la privacy è garantita dai grandi numeri; resta il fatto che l’allievo può facilmente constatare che gli è stata detta una cosa non del tutto corrispondente alla realtà, e anche questo non mi pare molto educativo.
In linea di principio io personalmente non sono affatto contraria a questo genere di prove. Per questo confido che verrà un giorno in cui sarà possibile somministrarle senza umiliare gli insegnanti, raccontare frottole agli allievi o abituarli a banalizzare i testi letterari. Purtroppo quel giorno non era il 12 maggio 2016.
Anna Segre, insegnante
(13 maggio 2016)