Palermo, omaggio al Testimone Terracina

pieroIeri ha emozionato oltre 500 studenti del territorio con la profondità del suo messaggio e della sua testimonianza. Oggi, al termine di una commovente cerimonia svoltasi a Villa Niscemi, si è potuto rivolgere loro da concittadino.
Piero Terracina, uno degli ultimi Testimoni italiani della Shoah ancora in vita, è da questa mattina un palermitano “ad honorem”. Così ha voluto la Giunta presieduta dal sindaco Leoluca Orlando, che gli ha conferito il riconoscimento in ragione dello straordinario impegno di Memoria profuso al servizio della collettività.
Grande l’emozione di Terracina, che aveva al suo fianco anche l’assessore dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Jacqueline Fellus, il Consigliere della Comunità ebraica di Napoli Ciro Moses D’Avino, la presidente dell’Istituto Siciliano di Studi ebraici Eveline Aouate.
Nel folto pubblico ritrovatosi per la cerimonia anche Gadi Piperno, responsabile del Progetto Meridione UCEI, oltre al rav Umberto Piperno, all’imam Francesco Macaluso e al pastore Peter Ciaccio.

Schermata 2016-05-17 alle 15.42.49“Una necessaria presa di coscienza”

A nome dell’UCEI voglio esprimere gratitudine alla Città di Palermo e all’Istituto Siciliano di Studi Ebraici per averci dato l’occasione di partecipare ad una cerimonia così importante e significativa.
Rivivere, attraverso le sincere e dirette parole di un sopravvissuto, un momento della storia così crudo e nefasto può risultare per i giovani un diverso approccio allo studio degli eventi storici rispetto a quanto si può apprendere da un libro.
Sono anni che Piero Terracina svolge questa missione con instancabile dedizione. Decine di migliaia di ragazzi hanno potuto ascoltare la sua esperienza di internato in un campo di sterminio e rivivere attraverso la sua voce una tragedia che non è sintetizzabile attraverso delle definizioni. In questo modo i ragazzi che lo ascoltano diventano a loro volta testimoni di secondo livello, non semplicemente studenti che acquisiscono nozioni su eventi storici.
Per la nuova generazione tutto questo non è facile, ma è una necessaria presa di coscienza del livello di crudeltà raggiungibile dall’uomo. Il fatto che ciò sia avvenuto significa che dobbiamo rafforzare nella nostra società quegli anticorpi che hanno il dovere di fermare quelle dinamiche che possono portare al ripetersi di momenti storici di similare crudeltà anche se in forme diverse.
Proprio queste terre possono testimoniare un’altra tragedia, avvenuta 500 anni fa che è la cacciata degli ebrei dalla Spagna e dai territori dominati dagli spagnoli tra cui la Sicilia. Questo evento non è paragonabile al deliberato sterminio di milioni di persone avente come obiettivo l’eliminazione di un popolo dalla faccia della terra. Tuttavia il presupposto era quello di uniformare la popolazione ad uno standard eliminando il diverso. Non è un caso che dal sedicesimo secolo inizia un inesorabile declino della Spagna.
Allo stesso modo l’avvento del nazismo in Germania e quello del fascismo in Italia ha portato oltre che all’abominio della deportazione e dello sterminio ebraico alla perdita dei diritti civili e della libertà, al terrore, persecuzione degli oppositori, guerre fame e morte per molti cittadini europei.
Il 27 gennaio 1945 l’Armata Rossa liberò i sopravvissuti del campo di sterminio di Auschwitz. La ricorrenza è stata scelta dal Parlamento italiano per istituire il “Giorno della Memoria”, tra le altre cose il decreto legge stabilisce che in occasione della Giornata siano prese una serie di iniziative, specie nelle scuole, “su quanto è accaduto al popolo ebraico e ai deportati militari e politici italiani nei campi nazisti”. Ora mi sono chiesta se è possibile affrontare un tema così complesso e per tanti versi ancora dolente, sfuggendo alla retorica per trarre spunto per una elaborazione storica e politica che permetta di comprendere in che senso si può parlare di unicità della Shoah e se esiste o meno il pericolo che una tragedia simile si ripresenti. La risposta è positiva solamente se si riconosce che su questo terreno si può procedere ma a condizione di affrontare alcuni quesiti che suscitano non poche polemiche.
Il primo contro cui ci si urta è, appunto, quello della “unicità”. Questa si colloca nel contesto di una persecuzione più che bimillenaria , che risale all’antichità pagana, quando l’ebraismo era esposto a un disprezzo sferzante a causa del monoteismo che lo contraddistingueva dall’universo circostante, cui seguì l’antigiudaismo di diverse matrici, che portò a un impianto accusatorio di condanna perenne del popolo ebraico. Da allora massacri innumerevoli, roghi di innocenti e dei loro libri di preghiera, legislazioni restrittive, chiusura nei ghetti, discriminazioni, processi, forzate conversioni, tutti atti accompagnati da una permanente predicazione che indicava negli ebrei la causa prima della loro stessa dannazione, predisposero per secoli l’animo di centinaia di milioni di persone ad accettare o a volgere il capo dall’altra parte quando un carnefice munito di potere totalitario propose la “soluzione finale”.
È questa, quindi, l’unicità storica che segna la Shoah e la rende tragicamente specifica.
Da questo, dai racconti di Piero Terracina ai ragazzi, si evince l’impegno di una vita a riportare quanto improvviso, repentino e inaspettato sia stata la nascita di questo mostro e soprattutto di quanto nessuna società, per quanto civile e avanzata, potrà mai ritenersi immune ma dovrà continuare a mantenere alta l’asticella del controllo contro una degenerazione che non si sa mai a cosa può portare.
La speranza è che, grazie alla tenace trasmissione ai giovani di quanto accaduto, attraverso il racconto dei sopravvissuti, che per ragioni anagrafiche sono sempre di meno, questi ragazzi sappiano raccogliere il testimone e continuare pervicacemente a battersi perché le parole “mai più” non rimangano solo parole senza radicamento.
In questo sala ho stretto la mano a rappresentanti della chiesa valdese, mormoni, cattolici, ebrei e musulmani. Questa la migliore risposta che la città di Palermo poteva dare contrapponendosi all’ideologia nazista e quindi mi sento di salutare tutti con un sincero “Shalom”, che per noi significa anche pace.

Jacqueline Fellus, assessore UCEI

(17 maggio 2016)