…Comunità
E siamo arrivati finalmente alla meta. I governanti della Comunità di Roma, dopo aver di fatto affermato negli anni la loro supremazia rappresentativa e politica e il loro diritto a parlare per tutti gli ebrei italiani senza consultarli, dopo aver ripetutamente denigrato ai limiti della diffamazione, in più sedi e occasioni, il legittimo organo di rappresentanza dell’ebraismo italiano (in cui Roma stessa ha i suoi rappresentanti eletti) ritenendolo indegno e incapace, dopo aver ripetutamente minacciato di separarsi dall’Unione delle Comunità, ora chiedono anche, di diritto, un fondo di solidarietà per i propri buchi di bilancio. Bilancio sul quale naturalmente l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane non può indagare e che non può verificare, salvo apparire prevaricante. Sull’Ospedale Israelitico, sulle sue vicende e sulle sue responsabilità nulla è dato sapere che non si apprenda dalla stampa. E l’UCEI si piega a concedere il ‘fondo di solidarietà’, togliendolo magari ad altre iniziative benemerite di carattere nazionale o a sacrosante esigenze di altre comunità. Un fondo di solidarietà, come se il buco di bilancio fosse dovuto non a una certa gestione economico-finanziaria, bensì a cause naturali, un terremoto o uno tsunami. Quindi, se un’altra Comunità, da oggi in poi, si rivelerà un po’ trascurata nell’amministrazione della cosa pubblica avrà il diritto di ricorrere allo stesso mezzo: un fondo di solidarietà da sottrarre alle esigenze degli altri, magari impegnandosi a NON restituirlo.
Se poi l’UCEI, fatte le debite valutazioni, il fondo non te lo concede, o te ne concede solo una parte e dilazionata nel tempo, che c’è di meglio per chi governa Roma che sobillare sui social media i propri iscritti in direzione di una sollevazione popolare, specie sotto elezioni UCEI?
È lontano e ancora amaro in bocca il ricordo di quando, al momento di decidere sul nuovo statuto dell’Unione e in particolare sul peso da riconoscere alle singole comunità, l’allora presidente di Roma disse che il compito di difendere le piccole comunità se lo sarebbe assunto Roma stessa, e quindi ridurre a quindici voti la rappresentanza delle 19 comunità piccole e medie non avrebbe inciso sulla loro possibilità di farsi valere. Ora si vede chiaramente come si intendevano difendere i diritti dei più piccoli, che tuttavia, in un concetto di federazione di comunità, e non di ‘una testa un voto’, sono i più numerosi.
Quando scrivo che forse questo è ‘il mio ultimo intervento’ non è perché io pensi di ritirarmi a coltivare l’orticello, ma perché sono pienamente consapevole che quanto scrivo non a tutti risulta gradito. E qualcuno preferisce invitare i suoi seguaci a ‘bruciare’ Pagine Ebraiche piuttosto che confrontarsi, su queste stesse pagine, con lo strumento della penna, della ragione e della verità. Nel rispetto, cioè, della verità di ciascuno. Ma per tappare la bocca a chi ti si oppone non c’è mezzo più semplice che impedire l’espressione del pensiero invitando a bruciare il giornale. Che non è il rogo del Talmud, ma che vi prelude. Poi, dopo aver tacitato gli altri, è anche più facile ottenere un ‘fondo di solidarietà’. Proprio da quegli altri, naturalmente.
A suscitare sconforto e amarezza è, alla fine, il fatto che la politica di chi regge la più grande Comunità ebraica italiana sia ormai da tempo tutta tesa allo scontro, preoccupata di perpetuare il potere con la retorica del populismo e della faziosità, piuttosto che tesa a sensibilizzare la comunità allo spirito di correttezza e di unità che dovrebbe informare la comunità ebraica italiana, nell’interesse di tutti.
Dario Calimani, Università di Venezia
(17 maggio 2016)