Identità e storia – Patrimonio culturale, il ruolo degli ebrei italiani

27017856636_2242983514_zLo storico Gadi Luzzatto Voghera, docente di storia nella sede di Padova della Boston University, è il nuovo direttore del Centro di documentazione ebraica di Milano (Cdec). Riproponiamo di seguito un testo pubblicato su Pagine Ebraiche nell’estate di alcuni anni fa.

Il continuo richiamo all’eredità di una Storia ricca di figure e di esperienze, che ha lasciato splendide testimonianze artistiche e preziosi documenti, costituisce un tratto fondamentale di quella famosa identità ebraica e italiana attorno alla quale a più riprese si accendono vivaci dibattiti e a volte aspre contrapposizioni. Condividiamo in effetti il privilegio (concentrato nella nostra duplice origine culturale e affettiva) di essere eredi – spesso indegni – di un patrimonio immenso, che nessun’altra terra può vantare. Dovremmo sforzarci di valorizzarlo con maggior impegno, ma già il solo fatto che questo patrimonio c’è e che sia visibile costituisce un valore aggiunto importante. Non è certamente un caso il fatto che quando in Europa si celebra la Giornata della cultura ebraica siano proprio i luoghi italiani a suscitare il maggior interesse e la maggiore frequentazione. Ed è altrettanto vero che spesso proprio il lavoro di divulgazione che viene effettuato a livello di medie e piccole comunità diviene un interessante stimolo per gli stessi ebrei che sono costretti a interessarsi e a riacquisire competenze e conoscenze perdute nel rapido e inesorabile percorso di secolarizzazione che ha interessato tutti noi negli ultimi due secoli. Questo dato di fatto costituisce quindi una peculiarità assoluta che incide profondamente sul modo di essere degli ebrei in Italia. Mi chiedo però se questo essere così legati, per evidenti motivazioni storiche ed estetiche, alla bellezza artistica e all’elevatezza culturale del nostro passato storico, non abbia finito con l’influire troppo in profondità sulla nostra capacità di confrontarci con la modernità e di metterci in relazione con esperienze differenti e meno cariche di pesanti eredità. Molto spesso ci troviamo a vivere con normalità sorprendente la nostra quotidianità in ambienti che la maggior parte degli abitanti di questo pianeta aspira a visitare almeno una volta nella vita. Attraversiamo rapidi piazza del Campo a Siena per andare al lavoro, passiamo indifferenti di fronte alla stupefacente facciata del duomo di Modena per prendere un caffè al bar all’angolo, scostiamo infastiditi i turisti in coda per raggiungere l’ufficio postale dietro piazza San Marco a Venezia. E allo stesso modo andiamo a pregare alla Schola levantina (secolo XVI) in ghetto vecchio, magari maneggiando con visibile noncuranza un siddur del Settecento che porta il timbro della Comunità, assistiamo a una lezione del rabbino fra i banchi della Scuola italiana (secolo XVII) a Padova, quegli stessi banchi su cui sedeva Moshe David Valle, e così di seguito. Sono esperienze che fanno parte della nostra quotidianità e normalità, che tuttavia ci caricano di un peso che – ho quest’impressione – ci impedisce di cogliere e interpretare i grandi movimenti culturali e umani che attraversano la nostra epoca. Come saremmo se andassimo a pregare in un capannone di periferia riadattato a Beth haKnesset? Che tipo di riflessione attiveremmo, e come ci relazioneremmo con il tanto dibattuto tema della nostra identità se il nostro panorama urbano non fosse quello che è (cioè bello), ma fosse più simile ai sobborghi di Detroit o allo squallore di Schunat Hatikvah a Tel Aviv? Sarà forse perché non ci poniamo con troppa convinzione questi interrogativi che facciamo così fatica a relazionarci, da italiani, con il resto del mondo ebraico, e che questo a volte non ci conosce o non ci riconosce. Ristabilire questa connessione (che nei secoli passati era assai più solida) è forse il compito culturale di maggior importanza che ci troviamo a dover affrontare. Riaprire gli occhi sul nostro patrimonio, imparando a conoscerlo e valorizzarlo senza viverlo con l’indifferenza della quotidianità. Allargare lo sguardo al mondo “diversamente bello”, oltre la penisola, che ha tanto da insegnarci.

Gadi Luzzatto Voghera, Pagine Ebraiche, luglio 2011