Cosa si sogna
Ma che cosa sogna lì dentro, chiede un bambino della sorellina che nascerà, dato che non ha mai visto niente? Giusto. (Accidenti a questi genitori moderni che crescono i figli in nome della curiosità e del dialogo). Vediamo… beh forse sogna Yakov che sogna la lotta con l’angelo, gli spiega la madre. Sai, anche se non conosce il mondo, conosce tutta la Torah. Sei occhi si spalancano attenti (almeno tutti i bambini smettono di urlare e di rincorrersi per casa, in uno Shabbat piovoso e di otite in cui fuori non si può giocare). Sì, prova a spiegare la madre (dove si starà infilando? Poverina, non la invidio proprio), la bambina conosce la Torah già dentro la pancia. Quindi anche tutto lo Shemah, chiede l’altro figlio, che vede il fratello esercitarsi con fatica ogni venerdì pomeriggio. Direi di sì, risponde la madre, rassicurando il grande per l’impegno nello studio: nascendo dimentica tutto… Questo succede a causa di un angelo che tocca il bambino sotto il naso, facendogli dimenticare tutto, aggiunge, come ci racconta il Talmud Bavli (Niddà 30b).
Birbone, commenta il più piccolo (zitti, forse si siede anche ad ascoltare). Eh sì, per questo poi bisogna studiare tanto, per cercare di ricordare quello che già sapevamo e abbiamo dimenticato. Però non direi che l’angelo Laila, responsabile di ciò, sia birbone (o birbona? Chissà perché io me lo immagino femmina): è l’angelo che fa venire il bambino nella pancia della mamma, e che ha cura della sua anima fino alla nascita (Talmud, Niddà 16b). Perché non abbia paura, accende una candela nella sua testa in modo che possa vederci (Niddà 30b): “Come è detto, allora la sua luce brillava sulla mia testa, e grazie alla Sua luce ho camminato attraverso l’oscurità” (Giobbe 29,3). “Come per bimbolino!”, esclama il più curioso, da cui era iniziato il dialogo.
Certo, come per bimbolino, che nel lessico famigliare di quella casa designa una delle tante storie dalle bellissime illustrazioni che hanno colorato la vita in Scandinavia, dilapidato parte della sia pure non misera borsa di ricerca materna in libri per l’infanzia, e fatto sì che rientrassero con una valigia in più, De buitelende baby in mama’s buik di Thomas Svensson, in cui Jacob fantastica sull’arrivo del nuovo lillebror, il fratellino, immedesimandosi in lui il quale da dentro la pancia della madre si interroga sull’aspetto dei genitori (avranno quattro orecchie e sei mani? Quando vanno al mare, anche il bimbo prenderà il sole in costumino ed occhiali scuri, comodamente adagiato sopra una salsiccia a guisa di cuscino? E quando si fa buio, accenderà una candela per illuminare la sua notte? Ovviamente le immagini fanno ben più del testo, perlomeno per questa madre che ha sempre un po’ inventato la traduzione, salvo sentirsi redarguire perché cambia qualche parola e nulla sfugge ai tre attenti ascoltatori, ma si sa, traduttore traditore, taglia corto lei, ed in questo caso debbo ammettere che ha saputo destreggiarsi bene).
Tranquilli, soggiunge ai figli, traendo ispirazione proprio dal racconto di bimbolino: da come scalcia la bambina, secondo me non passa il tempo a sognare e tenere Divrei Torah. Suppongo anzi faccia anche cose molto più prosaiche, come pulire casa sua, imballare anche lei le sue cose per il trasloco, partecipare ai lavori per la casa nuova (ma sempre con il casco di sicurezza), imparare a ballare il Can-can… e a ben pensarci, per come mal funziona l’ADSL ultimamente, suppongo che sia connessa per vedere lezioni di ballo online. Basta che non inviti gli amici per un rave party, penso tra me e me, ma questo è bene non esprimerlo ad alta voce, perché l’ultima cosa che desidero è che la poverina debba spiegare loro di che cosa si tratti: fino al Can-can ce la può fare.
Sara Valentina Di Palma
(19 maggio 2016)