Qui Roma – La quieta rivoluzione di Regina
Fu davvero una quieta rivoluzione quella di Regina Jonas, la prima donna a ricevere un’ordinazione rabbinica riformata, vissuta a Berlino ai primi del Novecento. L’ha spiegato l’ebraista Maria Teresa Milano, autrice di un libro su Jonas (Effatà) che ieri ha partecipato a un convegno promosso e organizzato presso l’Istituto Italiano di Studi Germanici a Roma, in collaborazione con Beth Hillel Roma, Amicizia Ebraico Cristiana di Roma e Progetto Lea Sestieri, intitolato proprio “La quieta rivoluzione di Regina Jonas: donne ebraismo e religione”. “Di lei mi ha sempre colpito il fatto che è tutto molto chiaro, seppur non lo espliciti mai – le parole di Milano – e così non fa mai riferimento alle correnti dell’ebraismo di quegli anni eppure era profondamente ortodossa, non parla mai dei movimenti culturali e politici della Germania del suo tempo eppure le battaglie femministe emergono con forza”. Esiste in Jonas, ha sintetizzato la storica anna Foa, “un mondo complesso di intrecci fra tradizione e modernità che Regina elaborerà a suo modo e che già si vede nei suoi studi”, legati allo shtetl e all’yiddish, ma anche alla fede e all’educazione alla Torah ricevuta dal padre, e alla borghesia ebraica berlinese e all’illuminismo. Nonostante questo, la sua è una figura di cui si parla poco, perché “oggi può essere chiamata una pioniera, ma forse al suo tempo non fu capita nella sua modernità”, come ha osservato Sarah Kaminski, docente di ebraico all’Università di Torino. Nel corso del pomeriggio di studi, moderato dalla direttrice dell’Istituto Roberta Ascarelli e Massimo Giuliani, ebraista dell’Università di Trento, sono intervenuti anche Renate Jost, professoressa di teologia femminista presso l’ Augustana College di Neuendettelsau e lei stessa pastora protestante, Marinella Perroni, teologa del Pontificio Ateneo S. Anselmo, Hartmut Bomhoff, ricercatore presso la Facoltà di teologia ebraica dell’Università di Potsdam, Irene Kajon, filosofa morale dell’Università La Sapienza di Roma, e l’assegnista dell’Istituto Italiano di Studi Germanici Giuliano Lozzi.
Per quanto riguarda l’ammissione delle donne allo studio dell’ebraismo, ma anche più in generale il loro ruolo all’interno della società, Milano ha inoltre sottolineato come l’uguaglianza per cui Jonas combatté tutta la sua vita tenesse comunque conto della differenza fra uomini e donne, tanto che parlò molto di rispetto tzniut, la modestia ebraica, da riadattare tuttavia ai tempi. Un’uguaglianza che derivava direttamente dalla creazione divina di entrambi i sessi, e che portava dunque la donna a essere libera di scegliere in prima persona in cosa esercitare le sue facoltà, se nella cura della famiglia e della casa, o nello studio e nella religione, o ancora nella politica. Su questo si è soffermata anche Jost, la quale nel delineare le recenti conquiste femminili in ambito religioso ha sottolineato che tale parità fosse per Jonas “una questione di giustizia”. Non è inoltre da dimenticare, ha ricordato Bomhoff, che la sua lotta per i diritti delle donne allo studio e all’avere un impiego, cosa che nella Germania dei primi del Novecento non era comune e non lo era nemmeno nell’ambito degli studi ebraici, fu accompagnata anche nella pratica dal mantenimento del suo lavoro di insegnante, e anche dalla scrittura su un giornale.
Regina Jonas, nata a Berlino nel 1902 da due genitori immigrati dall’Est Europa in cerca di fortuna e morta ad Auschwitz nel 1944 dopo essere stata ordinata rabbina nel 1935, fu certamente una figlia del suo tempo. Una caratteristica emersa in tutti gli interventi, ma in particolare in quello di Lozzi, il quale attraverso un confronto con la saggista e poetessa Margarete Susman, ha delineato la “centralità delle donne ebree nel quadro socio-culturale tedesco nella Germania prima del 1933”. Ma il coinvolgimento di Jonas nel panorama di quegli anni fu evidente anche nei suoi studi alla Hochschule für die Wissenschaft des Judentums, la scuola rabbinica di Berlino da lei frequentata. “Esiste in Regina una realtà ambivalente, di una persona che visse in una società fortemente attaccata ai suoi valori europei e alla sua filosofia ma allo stesso tempo rimaneva ancorata alla tradizione”, ha spiegato Kajon. “Con la sua capacità così profonda di unire la sua sensibilità al pensiero dell’ebraismo – ha aggiunto – riuscì a recuperare l’unità tra soggettività e oggettività persa nella Hochschule für die Wissenschaft des Judentums”. Una sintesi tra due mondi che si può rintracciare anche nell’intervento di Perroni, la quale nell’analizzare il rapporto tra le donne e la religione, e in particolare tra femminile e divino, ha osservato che in Regina Jonas si vedono due percorsi, “quello dal divino al femminile ma anche quello dal femminile al divino”.
Francesca Matalon
(20 maggio 2016)