Capire e difendersi dall’odio online
La diffusione di Internet ha reso possibile un dialogo ininterrotto, che si alimenta sui blog, sui forum, nelle chat, sui display degli smartphone. In questo modo, spiega il professore di Informatica giuridica all’Università di Milano Giovanni Ziccardi in L’odio online: Violenza verbale e ossessioni in rete (Cortina), la sfera pubblica, dall’essere “quell’insieme di comportamenti che i membri di una società adottano per dialogare su argomenti che ritengono di interesse collettivo”, dopo l’imporsi della rete non è più popolata unicamente da soggetti istituzionali – come giornali, televisioni, editori, università e così via – ma anche da una moltitudine di soggetti individuali, non professionali, che diventano loro stessi una fonte. Ed è questo il motivo per cui oggi è aperto il dibattito su fenomeni come demenza digitale o hate speech, in quanto ogni giorno tutti condividono online delle informazioni che possono essere usate per degli attacchi mirati e discriminatori. Il libro di Ziccardi, scrive Francesco Guglieri sul mensile del Sole 24 ore IL, è utile anche a fare il punto sulla giurisprudenza che si sta faticosamente tentando di mettere insieme per il controllo dell’odio prodotto e diffuso online. “Inevitabilmente lo si fa con molta fatica e ritardo – le sue parole – dal momento che il legislatore nazionale non è solo più lento dei cambiamenti tecnologici, ma soprattutto ha a che fare con un ordine di grandezza completamente diverso: quello globale”.
È ormai appurato che ognuno al giorno d’oggi ha una sua identità digitale, ed essa è composta da sentimenti e informazioni sempre più strettamente intrecciati tra loro. Da questa consapevolezza nasce il volume Anime Elettriche, edito da Jaka Book e a cura del gruppo interdisciplinare Ippolita, formato da alcuni cosiddetti mediattivisti milanesi e non solo – informatici, filosofi, antropologi e attivisti – che da circa un decennio analizzano l’evoluzione della Rete e della network culture. “Quando condividiamo via web ci sentiamo al contempo più gratificati e più informati. Sempre presenti e al contempo proiettati in un altrove, siamo come anime elettriche in estasi permanente”. Così spiegano sul loro sito il senso di un titolo che rende l’idea di quanto la coscienza umana sia come sdoppiata, poiché i social network non riflettono la realtà, dal momento che rompono l’unità fra mente e corpo, ma semmai la manipolano all’interno di una sorta di logica del controllo sociale, attuando in questo una mercificazione di affetti, sentimenti, e turbamenti, messi in evidenza senza alcun pudore. Ma, avvertono i mediattivisti, “la partita è tutta da giocare”, e alla prossima mossa stanno pensando loro. “Con uno sguardo antiproibizionista – scrivono infatti – Ippolita fa un nuovo giro dietro le quinte della società del controllo, alla ricerca di vie di fuga e strategie di autodifesa”.
L’indagine a proposito del rapporto tra l’uomo e la tecnica continua ancora oggi a oscillare tra due polarità: quella che vede la tecnica come dimensione di compensazione e rilancio di caratteristiche proprie della natura dell’uomo e quella che coglie nella progressione tecnologica la registrazione di una perdita di protagonismo da parte dell’essere umano, come a dire che tutto sommato era destino. Di indagare questo rapporto ma soprattutto anche di superare questo dualismo si occupa il libro Divenire corpo. Soggetti, ecologie, micropolitiche (Ombre corte) di Ubaldo Fadini, docente di filosofia morale all’Università di Firenze. Per l’autore è infatti opportuno andare oltre la riproposizione tradizionale della relazione tra soggetto e tecnica in termini soltanto sostitutivi o compensativi, e analizzare gli effetti anche sociali e politici che esso oggi ha nel quadro delle trasformazioni del capitalismo contemporaneo. “Il lavoro? Non esiste. Oggi la moneta di scambio è il pagherò. Il presente è il debito, il futuro è il profitto di chi mette la tua vita nella sua vetrina con un ‘Mi piace’. Questa situazione non induce a ribellarsi, ma a una disperata chiusura in se stessi. Ci si avvolge nella coperta dell’Io e si continua a scavare nella volontà personale, l’unico bene rimasto che ha ancora qualche mercato” sono le conclusioni dell’opera secondo Roberto Ciccarelli, come scrive sul Manifesto. In pratica, poiché non c’è il salario di un tempo “l’unico guadagno è avere una certa immagine di se stessi. Si è falliti e ci si crede imprenditori di se stessi”.
Tutto ha avuto inizio con una serie di ricerche sul tema della formazione a distanza, condotte nell’ambito del Laboratorio per l’e-Learning (LabeL) dell’Università di Udine, che offre corsi online a vari livelli e in vare aree didattiche. A raccogliere i dati che ne sono emersi è il volume intitolato Processi comunicativi nella formazione a distanza, a cura di Nicola Strizzolo, ricercatore di di Sociologia dei processi culturali e comunicativi nell’ateneo udinese, edito da Forum. Attraverso l’analisi dei risultati di questa ricerca condotta direttamente sul campo si dimostra, da un lato, l’efficacia della formazione online come metodo di insegnamento e di apprendimento, aprendo nuove prospettive sull’utilizzo delle nuove tecnologie in ambito accademico e in generale educativo, dall’altro si evidenziano anche alcuni nodi critici. Tra questi, ad esempio, vi sono le difficoltà riscontrate nell’avvio dei percorsi, le incertezze che ancora permangono sul ruolo del docente online, la scarsa abitudine degli utenti stessi a usare il computer come strumento di autoformazione. Obiettivo del libro è dunque anche quello di fornire al lettore numerosi suggerimenti, riguardanti sia gli aspetti tecnici sia gli aspetti organizzativi, per impostare programmi di formazione online, ma anche indicazioni su come motivare gli utenti, colmare le loro lacune nel rapporto con il computer e aiutarli a costruire un gruppo fortemente interattivo.
Chi meglio di uno studioso che ha dedicato la sua carriera alla scienza e alla letteratura può parlare di rivoluzione informatica? E in effetti lo ha fatto proprio Giuseppe O. Longo, nel suo libro intitolato Il nuovo Golem. Come il computer cambia la nostra cultura, edito da Laterza nel 1998. Si tratta di un saggio in cui molto prima che internet diventasse quello che è ora veniva minuziosamente illustrato come, per l’appunto, l’informatica cambi non solo il mondo delle cose, ma anche il nostro modo di pensare. Una sintesi ricca di stimoli di quella che viene chiamata la rivoluzione informatica, con i suoi vantaggi e i suoi rischi, la sua storia e l’impatto sulla società e sullo sviluppo delle altre scienze. Che cos’è dunque questa creatura artificiale e un po’ mostruosa, il nuovo Golem che dà titolo al libro? È la terra stessa, avvolta dalla Rete telematica, “un soggetto connettivo che si sta formando a guisa di un immenso formicaio”. Un soggetto che possiede molte qualità e potenzialità non solo di ulteriore espansione ma anche di miglioramento qualitativo, e tuttavia in esso non mancano gli aspetti problematici, a partire dalla riduzione del sapere e della ricerca alla frammentazione incoerente dei dati. E la dimensione democratica della Rete ha infatti come effetto un intenso rumore che copre i contenuti significativi e potenzialmente liberatori con una massa indistinta di messaggi, tutti velocissimi, planetari, indistinti.
Pagine Ebraiche maggio 2016
(22 maggio 2016)