Un bagno attraverso i secoli

anna segre“La cacciata degli ebrei nel 1492 è stata una grave perdita per la Sicilia.” Interessante che la guida dica questo di fronte a un gruppo di studenti e insegnanti di una scuola pubblica torinese, tra cui non ha particolari motivi per supporre che ci siano ebrei; evidentemente è questa l’immagine che Siracusa vuole trasmettere di sé: una città che dopo più di cinquecento anni ancora rimpiange la sua perduta comunità ebraica. Naturalmente poco prima la guida aveva citato il famoso mikveh (bagno rituale) ritenuto il più antico d’Europa. Approfittando di una pausa di tre quarti d’ora mi lancio alla sua ricerca. La guida in realtà nonostante le buone intenzioni non sa darmi informazioni precise su come raggiungerlo. Me la cavo con Google Maps, anche se mi rendo conto che l’isola di Ortigia non è poi così piccola come credevo; intanto, però, i miei tre quarti d’ora sono diventati poco più di venti minuti. Scopro che si deve aspettare la visita guidata (che è ad ogni ora tonda); i tempi sono tiratissimi ma a questo punto mi sembra terribile dover rinunciare. Sono fortunata: è già stato raggiunto un numero sufficiente di persone e la visita parte puntualissima. Ce l’ho fatta!
Trafelata arrivo al luogo dell’appuntamento con cinque minuti di ritardo ma comunque prima di quasi tutti gli altri. Mi rendo conto che il mio stato d’animo è difficile da spiegare: perché in una città ricca di splendide chiese e palazzi, con un teatro greco tra i più belli del mondo, mi entusiasmo così tanto per una stanza sotterranea con tre vasche da bagno? In effetti, come mi spiega la guida, non sono la sola: ci sono molti ebrei americani – mi dice – che ci tengono a visitare il mikveh più di tante altre consuete mete turistiche. Capisco che dal suo punto di vista la cosa appare strana: non è facile per chi vive quotidianamente tra i resti di civiltà antichissime di cui si sente in qualche modo l’erede capire cosa significa – per chi appartiene ad un popolo costretto a vagare per secoli da un paese all’altro, privato della possibilità di lasciare segni troppo visibili della propria esistenza e quasi sempre costretto ad abbandonare anche quelli invisibili – trovare una traccia di presenza ebraica che è riuscita a sopravvivere miracolosamente attraverso forse quindici secoli. Io appartengo a quella parte, credo assai minoritaria, di ebrei privilegiati che possono recarsi sulla tomba dei propri trisnonni ed entrare occasionalmente nello stesso bet ha-keneset frequentato da loro; non sono dunque priva di radici, eppure l’idea di un mikveh così antico mi riempie di un entusiasmo inconsueto; non riesco neppure a immaginare quale impressione possa produrre sugli ebrei le cui famiglie provengono da comunità distrutte o disperse, da luoghi in cui le tracce della presenza ebraica sono state cancellate. L’antico bagno rituale è il segno tangibile di un rapporto (tra gli ebrei e la Sicilia) che si è interrotto per secoli ma che ora sta timidamente rinascendo.

Anna Segre, insegnante

(27 maggio 2016)