Qui Milano – Jewish in the City
Dalla Bocconi alla realtà di Israele,
ecosistemi dell’innovazione

IMG_20160530_113141Quale fu il contributo economico, sia sul versante accademico sia su quello imprenditoriale, degli ebrei allo sviluppo di Milano? Quali sono state le grandi figure dell’ebraismo milanese a lasciare un’impronta nella città simbolo dell’innovazione italiana? A rispondere a queste domande, l’appuntamento tenutosi ieri all’Università Bocconi e parte del programma di Jewish in the City Milano, il festival dedicato alla cultura ebraica che quest’anno ricorda i 150 anni della nascita della Comunità del capoluogo lombardo. Un’incontro, aperto dai saluti del rettore Andrea Sironi, dedicato sia alle figure ebraiche che fecero la storia dell’Università – tra cui Angelo Sraffa, rettore della Bocconi dal 1917 al 1926 – sia agli imprenditori ebrei che diedero il proprio contributo allo sviluppo della vivace economia milanese. A fare da anello di congiunzione, il libro dell’economista Rony Hamaui Ebrei a Milano. Due secoli di storia fra integrazione e discriminazioni (Sellerio), in cui questi due piani si intersecano dando un quadro nitido dell’intreccio tra mondo ebraico e la realtà culturale, economica e politica di Milano. A portare poi una testimonianza personale di questo legame, la professoressa Maria Mayer Modena e Giorgio Sacerdoti, docente all’Università Bocconi e Consigliere dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, che hanno ricordato la propria storia famigliare: in particolare, il lavoro di due grandi industriali come Sally e Astorre Mayer (rispettivamente nonno e padre della professoressa) e Piero Sacerdoti, che negli anni Cinquanta e Sessanta diede un importante impulso al mondo assicurativo e finanziario italiano ed estero (e di cui il figlio Giorgio racconta anche nel libro Nel caso non ci rivedessimo” Archinto).
IMG_20160530_161508Di attualità invece si è parlato al Mudec, ovvero di Israele, innovazione e rapporti-confronti con l’Italia. Di primo piano i relatori intervenuti, coordinati dal direttore di Nòva24 Luigi De Biase: Alessandro Braga della The European-House Ambrosetti, l’economista della Banca d’Italia Aviram Levy, l’imprenditrice Marina Salamon e Dani Schaumann, Israel Country Advisor per Intesa Sanpaolo. Un’occasione per comprendere meglio il perché Israele sia la Start-up Nation, come sia riuscito un Paese di pochi milioni di abitanti e grande quanto la Lombardia a diventare uno degli epicentri dell’innovazione mondiale ma anche quali sono i problemi di questo sistema e quale il confronto con l’Italia (Paese indietro su molti fronti rispetto a Israele ma che può vantare importanti punti di forza). Tra i dati che più hanno colpito il pubblico, la differenza di investimenti da parte dei Venture Capital: in Israele si parla di 3,6 miliardi di dollari usati per finanziare start-up, in Italia di 100milioni ovvero praticamente un mercato che non esiste. L’ecosistema, hanno spiegato i relatori, è poi molto importante: a Tel Aviv e dintorni le relazioni sono molto più immediate, i rapporti tra i vertici e la base dell’impresa sono diretti con risposte molto più veloci e un sistema d’impresa meno burocratizzato.
La capacità di attrarre investitori, ha spiegato Schaumann, nasce da diversi fattori tra cui un sistema accademico che porta i giovani ad avere un rapporto orizzontale con i propri docenti e maggiormente in grado nel dare forma alle proprie idee, innovare e avviare start-up. Molte falliscono, ma ci sono sempre quelle che riescono e quello sono una garanzia anche a livello di profitti. Il problema però di questo sistema, ha rilevato Aviram Levy, è che non crea indotto: gli start-upper vendono a milioni di euro le loro aziende ma il guadagno non si creano nuovi posti di lavoro e questo porta a dei disequilibri. Una situazione, continua l’economista, di cui le autorità israeliane si sono rese conto e stanno cercando di correggere.

d.r.

Pagine dimenticate: il contributo degli ebrei per Milano

Schermata 2016-05-31 alle 12.48.57Qual è stato il contributo degli ebrei alla città di Milano? Per rispondere a questa domanda dal 26 maggio si può sfogliare il libro di Rony Hamaui, economista di professione ma per l’occasione trasformatosi in storico e ricercatore, che in quattro anni ha ripercorso la storia del mondo ebraico milanese e i suoi intrecci con la città più cosmopolita d’Italia. Ebrei a Milano. Due secoli di storia fra integrazione e discriminazioni il titolo del volume edito da Sellerio. “Trecento e rotte pagine che ho voluto dedicare alla mia comunità, dopo anni in cui ho scritto di economia e mondo islamico, temi di cui mi occupo per professione”, spiega Hamaui. Questo libro nasce dal desiderio di restituire una coscienza storica su quello che è stato l’ebraismo milanese. “Noi ebrei siamo bravi a leggere e studiare dei nostri patriarchi ma poi non sappiamo nulla o poco delle nostre Comunità”. Ad esempio in quanti sanno chi ha fondato l’Umanitaria, una delle realtà filantropiche milanesi più note, oppure quale ruolo ha avuto il patriota Enrico Guastalla nel Risorgimento o ancora il segno lasciato da Angelo Sraffa e Gustavo Del Vecchio sull’Università Bocconi? Storie di una Comunità che ha dato tanto alla città lombarda. “”Direi di più che all’ebraismo perché a Milano non ci sono mai state scuole rabbiniche. Dai primi arrivi (nell’immagine un grafico tratto dal libro di Hamaui che indica le variazioni della popolazione ebraica milanese nel corso di due secoli) al seguito di Napoleone e con il procedere degli anni, gli ebrei non si sparsero nel territorio cittadino. Non erano costretti in un ghetto o in un quartiere e provenivano da tutta Italia. Quando la Keillah nel 1866 si rese indipendente da Mantova, i suoi membri provenivano da sessanta città diverse (anche dall’Austria‐Ungheria)”. Per Hamaui proprio la dimensione eterogenea è uno dei caratteri fondanti dell’ebraismo cresciuto nel cuore pulsante dell’economia del nord Italia. “Milano era una città libera ed economicamente vivace e per questo attirò molti ebrei. Questi si inserirono e integrarono facilmente nel tessuto cittadino. Grazie a un livello più alto della media di cultura, alla conoscenza di più lingue, ai rapporti internazionali, molte personalità iniziarono a spiccare”. Per Hamaui la grande partecipazione alla vita milanese da parte del mondo ebraico, con contributi economici, filantropici, sociali, si spiega nel forte desiderio di integrarsi. “Abbiamo avuto contributi grandissimi dal punto di vista politico sia risorgimentale, penso a Guastalla, sia più avanti con la Kuliscioff (tra le fondatrici del Partito socialista italiano) ad esempio. E poi ci sono stati i grandi banchieri come Luigi Luzzati, i Pisa, i Weill‐ Schott, e gli industriali come gli Jarach e i Mayer”. Hamaui è stato peraltro il fautore della riscoperta del 150enario della Comunità, riportato alla luce così come le storie che si intrecciano nel suo libro (con prefazione di Gad Lerner), tra i protagonisti di Jewish in the city. “Sarà l’occasione per presentarlo ma abbiamo in mente tante iniziative, ad esempio una biclettata nei vari luoghi ebraici della città. Ce ne sono molti che nessuno conosce ed è un peccato che vengano dimenticati”.

Daniel Reichel, Milano Ebraica, Maggio 2016