Contare e non contare
Da settant’anni il 2 giugno viene celebrato come festa della Repubblica. L’anniversario del voto alle donne è sempre stato, a quanto ricordo, un tema secondario (altrimenti le parate militari sarebbero parse del tutto fuori luogo, soprattutto nei primi anni di vita della repubblica, quando la carriera militare era riservata agli uomini). Quest’anno abbiamo assistito ad un completo rovesciamento e il voto femminile è diventato il tema portante. Non è detto che sia un bene, anzi; qualcuno potrebbe ipotizzare che la repubblica sia ormai un fatto acquisito mentre il cammino delle donne verso la parità è ancora lungo e tortuoso, ben lontano dall’essere compiuto. In effetti le complicate regole previste per le preferenze nelle imminenti elezioni comunali sembrano confermare che c’è ancora qualcosa che non funziona. Può darsi che queste regole siano l’unico mezzo per garantire una presenza femminile non irrisoria nelle nostre istituzioni, ma dal punto di vista simbolico sono comunque un grave segno di debolezza per le donne, percepite, se non come una minoranza, come una categoria debole e bisognosa di protezione.
Che cosa avranno provato le nostre nonne e bisnonne votando per la prima volta? Sarà parso loro troppo bello per essere vero? O magari qualcuna avrà storto il naso di fronte alla novità e avrà considerato il voto una fastidiosa incombenza? E in precedenza cosa si provava a non essere contate nel numero degli elettori? Ad essere spettatrici passive di un gioco condotto da altri? A sentirsi irrilevanti? Difficile rispondere a queste domande in un contesto storico così diverso. Ma forse per noi donne ebree italiane non è poi così difficile: per provare tutto questo basta entrare in una sinagoga. Quando verrà il nostro 2 giugno?
Anna Segre
(3 giugno 2016)