Alberi e terreni: di chi sono?
Si celebra oggi la Giornata mondiale dell’ambiente (World Environment Day o WED), ricorrenza proclamata nel 1972 dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite per richiamare, a livello globale, l’attenzione pubblica e le azioni politiche sulla questione della sostenibilità ambientale.
Di seguito una riflessione del rav Gianfranco Di Segni.
Alberi e terreni: di chi sono?
Se un fiume esondando sradica un uliveto e lo trascina nel campo di un altro, gli ulivi poi attecchiscono nel nuovo terreno e fanno frutti, e il primo proprietario sostiene: “Sono i miei ulivi che hanno prodotto le olive” e l’altro dice: “È la mia terra che li ha fatti crescere”, divideranno il ricavato a metà. È stato insegnato: Se il primo proprietario vuole a tutti i costi riavere i suoi ulivi indietro, non glielo si permette. Per quale motivo? Disse rabbì Yochanan: Per assicurare che la terra di Israele sia ben coltivata (Adattato dal Talmud Bavlì, Bavà Metzi’à 100b-101a). Se gli ulivi crescono bene nel secondo terreno, che rimangano là e il primo proprietario sia ricompensato. Così questi comprerà e pianterà altri alberi: di conseguenza, al posto di un uliveto ce ne saranno due.
Hanno insegnato i nostri Maestri: Uno non getti pietre dalla sua proprietà alla proprietà pubblica. Avvenne una volta che un uomo gettava pietre dalla sua proprietà alla proprietà pubblica. Lo vide un chasid, un uomo pio, e gli disse: “Stupido che sei! Per quale motivo getti pietre da una proprietà che non è tua a una proprietà tua?”. L’altro lo prese in giro, come se dicesse cose senza senso. Dopo un po’ di tempo, quel tale dovette vendere il proprio campo e si ritrovò a camminare proprio lungo la strada dove aveva buttato le pietre e inciampò proprio in quelle pietre. Allora esclamò: Aveva ragione quel chasid, quando mi disse: “Perché butti le pietre da una proprietà che non è tua a una proprietà tua?” (Adattato dal Talmud Bavlì, Bavà Qamà 50b). Come a dire, la vera proprietà di qualcuno non è quella privata, che oggi è tua e domani chissà, ma quella pubblica, che è sempre di ciascuno di noi, e quindi va rispettata (vedi commento di Rashì).
Gianfranco Di Segni, Collegio rabbinico italiano
(5 giugno 2016)