La politica senza emozione
Intervistato da Bruno Vespa, Luigi Di Maio si è trovato a rispondere sul caso-Parma e sull’espulsione del sindaco Federico Pizzarotti. A un certo punto il giornalista lo incalza con una domanda insidiosa e banale: “Umanamente, le dispiace per Pizzarotti? Ammettiamo che abbia sbagliato, è triste che un suo vecchio compagno abbia imboccato una strada scorretta?”. La replica di Di Maio, astro nascente (obiettivamente molto capace, il padre era un dirigente DC) del Movimento 5 Stelle, mi ha fatto impressione: “Sono noto per essere uno che non mette in mostra i propri sentimenti”. Ora, che male c’è a riconoscere un dolore così naturale? Un amico che sbaglia, un compagno che devia, non è forse normale e persino saggio dolersene?
La concezione che sta passando nella società è che la politica sia tutta regolamenti, trasparenza, meccanismi. Intendiamoci: siamo tutti esausti della continua sequenza di corruttele, scandali piccoli e grandi e lordure varie. Ma la politica non può essere ridotta a buona amministrazione – più che necessaria – né prescindere dai valori. E, fatto ancor più rilevante, non può dimenticarsi delle persone, delle singole storie delle donne e degli uomini. E se si rifiuta programmaticamente, come fosse un merito, un’emozione sana come la delusione per una persona cara, oppure se di fronte alla sofferenza di qualcuno si reagisce sbandierando una regola, a mio parere non è un progresso. Da questo punto di vista – anche se non va molto di moda – mi riconosco di più nella definizione dell’attività politica fornita, citando Paolo VI, da papa Francesco: la più alta forma di carità umana. Così, almeno, dovrebbe essere.
Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas twitter @tobiazevi
(7 giugno 2016)