Qui Torino – Il Mediterraneo e le sue dittature
talia, Spagna e Portogallo: tre paesi a confronto nell’intervallo di tempo che va dagli anni Venti ai Trenta del Novecento per capire la genesi delle rispettive dittature. È il tema al centro dell’ultimo lavoro della storica Giulia Albanese, Dittature Mediterranee (Laterza 2016), presentato a Torino nnella nuova sede del Polo del ‘900. A dialogare con l’autrice Aldo Agosti, professore emerito di storia contemporanea dell’Università degli Studi di Torino nonché membro del direttivo di Istoreto e Fabio Levi, docente di Storia contemporanea e direttore del Centro Internazionale di Studi Primo Levi. A moderare il dialogo tra gli storici Tullio Levi, membro del Gruppo di Studi Ebraici che in collaborazione con la Comunità ebraica ha organizzato l’evento.
“Obiettivo del libro – ha spiegato in apertura Tullio Levi – è analizzare la crisi dello Stato liberale che ha investito tre paesi dell’Europa meridionale e li ha condotti verso la dittatura”. Italia Portogallo e Spagna vengono sottoposti al vaglio di un’analisi comparata per far emergere le numerose similitudini, ma anche le profonde differenze in un periodo storico complesso a cavallo tra i due conflitti mondali.
Per Aldo Agosti l’uscita del libro coincide con un momento molto problematico per il panorama europeo, dove la stessa unità del continente sembra essere compromessa da un’identità “scricchiolante”. Merito del libro, la tesi di Agosti, è di mettere in campo gli strumenti e le potenzialità proprie della storia comparata, disciplina che si basa su tre metodi di analisi: l’approccio parallelo, macrocausale e per contrasto. Agosti ha definito originale la scelta dei casi di studio, ricordando come i rari esempi di analisi comparata tendano a mettere a confronto l’Italia con Germania o Francia. Il minimo comune denominatore tra Italia, Spagna e Portogallo è la risposta che viene data al collasso dei regimi democratici: i tre Stati infatti non scelgono né l’alternativa di stampo rivoluzionario sovietico, né tanto meno il consolidamento degli stati liberali. La scelta ricade su una terza via: la militarizzazione della politica e l’avvio verso un regime dittatoriale. Tesi fondante del libro è che i tre Paesi siano stati in qualche modo gli antesignani del disfacimento delle democrazie nel cuore dell’Europa. E l’ambiente internazionale avrebbe profondamente sottovalutato questo embrione di totalitarismo e le sue potenzialità di contagio.
Per Fabio Levi vi sono alcuni elementi di continuità tra i tre Stati: si tratta di Paesi in ritardo rispetto allo sviluppo capitalistico, da qui la frizione tra strutture istituzionali tradizionali, arretratezza e l’esigenza di modernità. Altro elemento centrale è l’enfasi che viene data alla violenza come mezzo per regolare conflitti sociali. Poi l’evoluzione in senso autoritario, nato come riposta alla crescita delle società e alle domande di partecipazione. Ultimo aspetto: le forme di trasformazione dei sistemi politici istituzionali sono avvenute con tempi e modalità diverse, ma chi ha promosso tali rotture non ha trascurato la necessità di mantenere elementi di continuità con il proprio passato per consolidare il consenso.
La riflessione si sposta poi sul presente, con l’analisi di Levi sull”interesse di analizzare oggi il passato europeo: allora il Vecchio Continente era attraversata da forme nuove di governi autoritari. Oggi le forme della politica subiscono una forte destabilizzazione. La guerra “a pezzettini” al di là dell’orizzonte europeo influenza ognuno di noi. Tutto questo produce spinte alla frammentazione e linguaggi antidemocratici, oltre a mettere in luce un’evidente incapacità del quadro politico internazionale di assorbire le domande di una società in rapidissima trasformazione. “Russia di Putin e Turchia di Erdogan vanno forse considerati esempi precursori?”, si chiede.
A chiudere l’incontro, Giulia Albanese che ha spiegato la genesi del libro: il motore della ricerca storica è stata la sua tesi di dottorato il cui tema era la Marcia su Roma. Da lì l’idea di comprendere come tale esperienza politica sia stata percepita all’estero. E l’impatto più significativo si è avuto proprio su Spagna e Portogallo: la marcia su Roma viene intesa come frattura non più componibile e non come atto teatrale del popolo italiano. La storica ha poi spiegato il perché abbia scelto come orizzonte di analisi quello istituzionale, attribuendo alle istituzioni un ruolo importante nella definizione della politica. “L’eccezionalità – conclude l’autrice – emerge dal confronto”.
Alice Fubini
(7 giugno 2016)