Chi smercia la morbosità in edicola
non può essere un amico sincero

Non è solo la qualità, ma anche la tiratura dei giornali italiani a far registrare un ulteriore, preoccupante fenomeno di regressione. Un fenomeno che dovrebbe inquietare tutti i cittadini, e in particolare gli ebrei italiani. Perché ogni indicatore dimostra inequivocabilmente che dove la stampa libera e professionale regredisce, dove i giornalisti professionisti sono minacciati, dove la professionalità giornalistica è sostituita da un arrembaggio di affaristi e faccendieri che agiscono nell’ombra sotto la copertura del polverone suscitato dal mondo dei social network, c’è un pericolo. È proprio lì che le garanzie democratiche e le qualità delle società aperte, plurali e capaci di fare delle culture minoritarie una ricchezza, rischiano di essere pericolosamente erosa.
Per questo gli sforzi di sostenere la tiratura dei giornali in crisi, anche quando si ricorre a qualche operazione commerciale di dubbio gusto, dovrebbero essere visti con favore.
Ma ci sono chiari limiti. E l’operazione di smerciare in edicola e di disseminare nelle case di milioni di italiani disinformati, impreparati e inconsapevoli migliaia di copie del Mein Kampf di Adolf Hitler non è solo un’azione becera, e volgare. Rappresenta anche un gesto cinico e irresponsabile.
Certo, si dirà che recentemente proprio in Germania è andata recentemente in libreria un’edizione di questo testo chiave dell’odio che ha insanguinato il Novecento e distrutto l’onore dell’Europa. Ma non lasciamoci ingannare. Nelle librerie specializzate tedesche è andata una poderosa edizione critica, riccamente commentata, annotata, contestualizzata, destinata agli esperti, agli studiosi. Un contributo importante per capire.
Da noi viene distribuita a piene mani dai giornalai una ristampa anastatica della prima traduzione italiana imposta da Mussolini sostenuta appena con la foglia di fico di una affrettata premessa affidata a un unico storico. Un contributo di segno contrario, finalizzato piuttosto a suscitare morbosità, a confondere le acque.
Per questo si tratta di un’operazione da condannare senza mezzi termini, proprio nel nome della libertà di stampa, d’espressione e di ricerca. Che sono valori seri e fondamentali e che non possono essere ceduti a mercanti senza scrupoli, disposti a solleticare i peggiori influssi presenti nella società contemporanea.
Ma c’è di più, e non può essere taciuto.
È venuto il momento in cui chi ha dedicato tante energie a stilare le pagelle dei giornali buoni e dei giornali cattivi, dei giornali amici e dei giornali nemici, apra gli occhi davanti alla realtà e chiami le cose con il proprio nome.
Di amici come questi né gli ebrei né lo Stato di Israele sanno che farsene.
Solo il giornalismo professionale ed equilibrato, da qualunque parte provenga, può essere davvero considerato, da tutte le sponde del Mediterraneo, un amico sincero dei valori ebraici e dei valori costituzionali, una reale tutela dell’unica democrazia del Medio Oriente e un affidabile punto di riferimento per affrontare i tempi difficili che stiamo attraversando.

Guido Vitale, direttore di Pagine Ebraiche

(10 giugno 2016)