…contrapposizioni

Non riesco ad appassionarmi allo sterile dibattito fra chi sostiene che le comunità si occupano troppo di rapporti con la società non ebraica e chi accusa di eccessiva chiusura chi si dedica a scuole, educazione, culto. In entrambi i casi – datemi pure del cerchiobottista – trovo che gli argomenti usati siano pretestuosi e restituiscano un’immagine falsata delle comunità ebraiche e del loro ruolo nella società civile. La riflessione storica che si è avviata sul concetto di ghettizzazione dovrebbe in questo senso esserci particolarmente utile. Neppure all’epoca in cui le autorità governative avevano stabilito per legge una separazione fisica fra ebrei e società cristiana, questi provvedimenti avevano generato una chiusura definitiva e la fine dei rapporti fra i due gruppi umani. In ogni società l’interscambio, il reciproco arricchimento fatto di suggestioni comuni, di condivisione di suoni, sapori, forme artistiche, clima atmosferico, eventi naturali, sono un processo naturale inarrestabile, e nessuna separazione artificiosa determinata per legge può avere un effetto duraturo. Chi parla di muri oggigiorno lo fa sapendo che si tratta di barriere simboliche, che non hanno effetti reali se non quelli immediati di un effimero riscontro elettorale. Per questi motivi, contrapporre un “fuori” e un “dentro” anche a livello di comunità ebraiche mi sembra un non senso, buono per l’appunto solo a suscitare simpatie elettoralistiche, ma non a rappresentare la realtà per quello che è. Chi è protagonista delle attività delle comunità ebraiche in Italia sa bene che le due dimensioni non sono separate ma si intrecciano costantemente: l’attività di educazione è intimamente legata all’uso dei tesori della nostra tradizione, che come tutti i “beni culturali” abbisognano di interventi di conservazione e di valorizzazione. La frequenza del culto va a braccetto con l’utilizzo di melodie che sono vive e storiche nel medesimo tempo, e che suscitano interesse da parte del mondo non ebraico che ne richiede l’esecuzione in eventi pubblici. La richiesta di “spiegare” l’ebraismo e le sue tradizioni, legata in questi ultimi anni alla straordinaria esperienza delle Giornate europee della Cultura Ebraica, ha portato molti ebrei a riavvicinarsi alle tradizioni. L’esplosione del mercato della kasheruth ha favorito il diffondersi di costumi alimentari che solo pochi anni fa erano stati abbandonati dalla gran parte degli ebrei. Una contrapposizione artificiosa, quindi, che sarebbe bene riconoscere una volta per tutte come fasulla e impraticabile, analogamente all’altrettanto insulsa e non veritiera contrapposizione fra gruppi che si accusano reciprocamente di essere contro Israele. Ancora una volta si tratta di barricate artificiali. Tutti sanno che Israele è un punto di riferimento culturale per tutti gli ebrei del mondo. Le dinamiche religiose che si svolgono all’interno della sua società hanno importanti conseguenze sulle diaspore, e le sue dinamiche politiche interessano e coinvolgono anche gli ebrei che non sono cittadini israeliani. Ma anche in questo caso, nessuno è autorizzato a dire che chi non la pensa come lui su Israele e sul suo ruolo in Medioriente o nei rapporti con gli altri ebraismi è un nemico di Israele. Si tratta di un’altra, ulteriore, contrapposizione elettoralistica artificiosa, che distorce la realtà, non rispetta la legittima diversità di opinioni, e fa oggettivamente del male alla necessaria prospettiva unitaria che dovrebbe guidare il governo delle comunità ebraiche italiane. Una realtà piccolissima, ancorché ricca di storia e tradizioni, che non può permettersi di lacerarsi su immagini distorte della realtà.

Gadi Luzzatto Voghera, storico

(10 giugno 2016)