Qui Roma – A passeggio per l’antico ghetto
Una passeggiata attraverso la memoria e la storia, una passeggiata per riscoprire i valori di convivenza e integrazione, una passeggiata attraverso la vicenda personale di un ebreo romano, che si intreccia con quella dei molti altri che hanno abitato quelle strade. Così l’autore Lelio Violetti ha descritto gli itinerari che propone nel suo libro A passeggio per il “Ghetto”. Il quartiere ebraico di Roma (Gangemi editore), presentato ieri a Roma, nella Sala Mostre e Convegni della casa editrice. Una breve guida “che non vuole dunque essere turistica ma suscitare attraverso le sue indicazioni spunti di riflessione”, come quelli condivisi nel corso dell’incontro da Giuseppe Imbesi, direttore della collana “città, territorio, piano”, Gilberto Ricci, consigliere di amministrazione della Fondazione Bellonci (Premio Strega), e Sergio Frassineti, ingegnere ed ex presidente della Comunità ebraica.
Il piglio non è dunque tradizionalmente scientifico, ha sottolineato Imbesi, ma il volume è stato comunque pubblicato in una collana di urbanistica perché parla di “un’urbanistica delle persone, del vivere insieme e delle tensioni che talvolta questo vivere insieme può provocare”. Il libro nasce dunque per suscitare emozioni nel lettore-visitatore, ed è un “susseguirsi di ricordi di un vecchio quartiere”, come ha sottolineato Frassineti, il quale ha rievocato con il pubblico alcuni momenti in particolare da lui vissuti, durante le persecuzioni nazifasciste, tra nascondigli e drammatiche fughe, e poi alla guida della Kehillah romana, tra cui quello dello storico incontro tra il rabbino capo Elio Toaff e papa Wojtyla. Quello che oggi somiglia a “un festoso quartiere latino”, come ha dunque osservato, “porta ancora i segni della storia nel cuore e nel corpo degli ebrei romani”. Il libro ne rende conto tra le altre cose anche attraverso l’emblematica figura di Settimia Spizzichino, unica donna sopravvissuta ad Auschwitz tra coloro che vi furono deportati con il tragico rastrellamento del 16 ottobre 1943. Violetti la conobbe perché lavorava alle poste con sua madre, e attraverso il loro rapporto fatto di racconti tra le strade del ghetto si dà testimonianza nel volume di una delle pagine più tristi che lo riguardano. “Non ne parlava volentieri – ha ricordato Ricci – ma con l’autore c’è stato un vero e proprio scambio di punti di vista, il suo di sopravvissuta e poi di socialista convinta, strettamente legata agli ideali dell’antifascismo e desiderosa di saperne di più sui giovani, e quello proprio di un giovane, che si trovava a contatto con le grandi contestazioni giovanili del ’68. Perché la storia del ghetto – la sua conclusione – è anche la storia dei temi che riguardano tutto il nostro paese”.
(10 giugno 2016)