Ticketless – Incendiari

cavaglionLa scelta di vendere il Mein Kampf in edicola è tanto improvvida, quanto furbesca. Improvvida, ma non inattuale nei giorni che seguono la votazione di una divisiva legge sul negazionismo. La sincronia spaventa più della decisione in sé. Fa infatti sorridere l’idea che si possa mettere sullo stesso piano il direttore del “Giornale” e studiosi come Furio Jesi o Giorgio Galli, che di quel libro e della cultura reazionaria sono stati interpreti seri e per molti versi spregiudicati. Il Mein Kampf non è un falso come I protocolli dei Savi di Sion, che alla vigilia della Marcia su Roma, Giovanni Preziosi regalava agli abbonati della “Rivista di Milano”. Sempre Milano, dirà qualcuno con malizia, ma non dobbiamo lasciarci prendere dal pathos, sarebbe troppo facile. Ricordo una conversazione di circa tre decenni fa, tra due protagonisti dell’ANED, Bruno Vasari e Gianfranco Maris, entrambi convinti della necessità di una rilettura “scolastica” di quel libro come vaccino contro il veleno delle fedi feroci. Una rilettura critica, però, confortata dal tempo necessario per portarla a termine. Ricordo che proprio Eco, di fronte ad un’intervista televisiva mandata in onda in prima serata a un giovane neo-nazista della periferia romana, spiegò dove stesse l’errore. Non nell’intervista in sé, ma nei riflettori accesi troppo a lungo sul personaggio. Spenti i riflettori, il messaggio evapora da solo. Non sempre è vile il tacere. Esiste il silenzio virtuoso. Meno ne parleremo del Mein Kampf nei prossimi giorni, meglio sarà.

Alberto Cavaglion

(15 giugno 2016)