Oltremare – Torino-Tel Aviv

danielafubini2Nei miei primi anni in Israele, fresca fresca di alyiah e con una grammatica tutta nuova da sgranocchiare, raramente mi son trovata a volere o a dover descrivere l’alyiah. Ero entrata senza quasi accorgermene in un gruppo di persone quasi tutte come me, fra i trenta e i quaranta, single o famiglie, con lavori presi un po’ a caso per pagare l’affitto e poche domande in testa (che non fossero dubbi di coniugazione dei verbi). O forse invece moltissisme domande ma tutte molto pratiche: dove e come trovare casa, come fare, dove trovare un supermercato con prezzi abbordabili e non per turisti nella carissima Tel Aviv. Ma erano tutte domande pratiche appunto, buone per risolvere i problemi a livello occhi. Dopo diversi anni, e avendo visto moltissimi amici arrivare e alcuni ripartire da Israele, inclusi israeliani zabar, di recente mi capita spesso di dover raccontare la mia aliyah.
Ieri sera per esempio, durante una riunione in Comunità a Torino, mi hanno collegata via skype e sono stata lì, solo la mia testa visibile nello schermo del computer, a chiacchierare con molti torinesi che invece avevano tutto il corpo lì presente. E quando abbiamo chiuso il collegamento mi sono accorta di non aver detto la cosa più importante, e cioè che è vero che Israele non è e non può essere un obbligo sentito per nessuno, né una soluzione a problemi personali, né possiamo viverla come un problema per le piccole comunità diasporiche perché insomma, è comunque lo Stato degli ebrei e ci mancherebbe che ci mettiamo a tirare gli ebrei chi di qua chi di là. La cosa più importante per me è che la mia scelta di vivere in Israele e non in un altro posto del mondo è qualcosa di estremamente naturale. Che viene da almeno due (forse tre) generazioni di impegno comunitario in Italia, con un forte legame con Israele. Forse per questo mi sono fatta tutto sommato ben poche domande, e una volta deciso di partire sono semplicemente partita. Ieri sera ascoltando le storie degli altri torinesi (quelli con il corpo), mi sono accorta che è davvero importante sapere dove si vuole essere. Chi in diaspora, chi in Israele. Se la scelta è una scelta naturale, può solo fare del bene al luogo prescelto, quale che sia.

Daniela Fubini, Tel Aviv

(20 giugno 2016)