A Bologna, “Di fronte al male”
Riconoscimento, giustificazioni, reazioni
Universalismo, sterminio, normalità, gerarchizzazione sociale. Sono solo alcuni dei temi su cui i relatori “Di fronte al male. Riconoscimento, giustificazioni, reazioni”, organizzato dalla Scuola Superiore di Studi Umanistici di Bologna, hanno continuato a dibattere, sollecitati dalle domande dei presenti, ben oltre i tempi previsti. La prima sessione, intitolata “Antisemitismo e sterminio” era presieduta da Chiara Volpato, docente di psicologia sociale all’università di Milano Bicocca che, dopo i saluti del professor Franco Farinelli, ha presentato i relatori Giacomo Todeschini, docente di Storia Medievale all’Università di Trieste, Marcella Ravenna, docente di Psicologia sociale presso l’Università di Ferrara e Alberto Burgio, docente di Storia della Filosofia presso la stessa Alma Mater Studiorim di Bologna. La mattinata si è dunque aperta con la relazione di Todeschini, intitolata “La logica creditizia e bancaria come strategia di governo e di giustificazione della violenza sociale ed economica (Europa occidentale, secoli XV-XVIII)” in cui il professore ha esplorato ed approfondito le idee guida del suo ultimo libro, La banca e il ghetto. Una storia italiana, uscita presso gli Editori Laterza. Sia le banche che i ghetti sono un’invenzione italiana, e il ragionamento sviluppato da Todeschini ha portato il pubblico a riflettere sullo sviluppo di quelli che si sono configurati come veri e propri “strumenti di disciplinamento”. L’apertura di credito, riservata a quei poveri in possesso di specifici requisiti di cittadinanza, buona condotta e appartenenza religiosa, si è man mano venuta a configurare come una istituzionalizzazione dell’esclusione, basata su principi accettati sia dai monti di pietà che dal credito pubblico. Il perfezionamento dei criteri e delle pratiche di disciplinamento sociale rende così possibile ipotizzare una continuità fra le diverse forme di organizzazione civica, fino ad arrivare all’idea – in estrema sintesi – di un concatenamento di effetti porti all’estremo: colui che non ha accesso al credito non è un uomo. E nel Cinquecento avanzato l’esclusione al credito si traduce automaticamente in esclusione dalla cittadinanza, in una gerarchizzazione sociale che istituzionalizza le pratiche di esclusione fino a “perimetrare l’appartenenza civica”. Marcella Ravenna, membro delle più importanti associazioni italiane e internazionali di psicologia sociale e del comitato scientifico del Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea di Milano, ha presentato uno studio empirico, intitolato “1939-1943 – Reazioni ai giorni terribili nei ghetti della Polonia occupata. Analisi di testimonianze ritrovate dopo la Shoah”. Due i punti di partenza: per quanto riguarda la Memoria, contrastare il rischio di assuefazione, banalizzazione e semplificazione della Shoah e in secondo luogo fornire ulteriore sostegno empirico contro la concezione delle vittime del nazismo come “pecore inermi”, mostrando invece quanto sia stata notevole la diffusione di fenomeni di resistenza non armata. L’attenzione, ha spiegato, è molto maggiore per il ruolo e il funzionamento personale dei carnefici che per quello delle vittime, e non sono frequenti gli studi sugli accadimenti e sulle azioni e reazioni quotidiane, spontanee intraprese dagli ebrei europei. Si tratta di tentativi di non arrendersi, e di mantenere umanità e dignità che sono rimasti in ombra rispetto alle limitate azioni eroiche che sono però più note e studiate. Sono stati i ghetti polacchi a fornire il numero più consistente di tesimonianze, selezionate con criteri comuni: che gli autori provenissero da contesti culturali relativamente omogenei, fossero stati oggetto di persecuzione prolungata, che le loro testimonianze non siano legate alla resistenza armata né che fossero membri dei judenrat (i consigli ebraici dei ghetti) e, infine, che non siano sopravvissuti. Oltre allo studio dei profili degli autori delle testimonianze, il lavoro di Marcella Ravenna si è concentrato sull’individuare gli argomenti e le dimensioni temporali su cui si concentrano le testimonianze, soffermandosi anche sulle eventuali espressioni tipiche e possibilmente comuni che sono state impiegate, nel tentativo di individuare informazioni utili alla ricostruzione delle strategie utilizzate per affrontare e reagire all’escalation di persecuzione e alla presenza di condotte immorali nei ghetti. Dal più noto Janus Korkzac, il pedagogista che scelse di accompagnare i suoi ragazzi verso il lager a rabbi Kalonymus Kalmish Shapiro, chassid e studioso che fece la stessa scelta partendo con gli studenti della scuola che aveva fondato, l’analisi dei testi e dei temi, oltre che del linguaggio usato e dei riferimenti ha mostrato il tentativo di articolare il presente alla luce della storia del mondo ebraico, sottolineando, nel caso di rav Shapiro, la centralità delle parole della Torah, mentre nei diari provenienti da Lodz il tema dominante è la fame, ossessiva e totalizzante. La parte comparativa dello studio, infine, ha mostrato lìeterogeneità delle testimonianze, che vanno dal vissuto di impegno sociale precedente alla Shoah a chi si impegna a documentare i fatti senza un preciso impegno. Nelle descrizioni un tratto comune è la rappresentazione degli abitanti del ghetto come animali innocui e inermi, come prede, mentre i nazisti sono spesso grandi felini, o animali comunque etichettati negativamente. I diari, strumenti di stimolo e familiarizzzione da integrare con approfondimenti sulle politiche di segregazione/separazione, anche grazie all’impiego di altre fonti di informazione sia storiografiche che fotografiche, sono fondamentali per salvaguardare una memoria viva della Shoah, importante soprattutto per i giovani, con cui è fondamentale affrontare percorsi differenti da quelli preconfezionati, chiarendo che le storie delle vittime non sono affatto uniformi, e che le loro strategie e comportamenti sono stati del tutto diversi da quelli di pecore inermi destinate al macello.
Ada Treves twitter @atrevesmoked
(23 giugno 2016)