…europei

Nei 28 paesi dell’Unione Europea vivono oggi un po’ meno di un milione e centomila ebrei (due per mille della popolazione totale), insieme ad altre settecentocinquantamila persone con altre identità che fanno parte delle loro famiglie allargate. Se guardiamo alla lunga durata della storia politica, economica e sociale degli ebrei, la situazione è stata generalmente migliore sotto costellazioni caratterizzate una certa misura interna di diversità e di pluralismo etnico e religioso, piuttosto che sotto regimi più strettamente omogenei dal punto di vista dell’etnia nazionale e del credo religioso dominante. Non mancano gli esempi: l’impero romano prima e dopo Costantino, l’impero degli Asburgo in confronto all’impero degli Zar, le città di Salonicco o di Trieste come porto franco multinazionale di un impero o come porto locale di uno stato nazionale. Anche per questo, le vicende dell’Unione europea vengono seguite con interesse e forse con un briciolo di apprensione da parte delle comunità ebraiche. L’UE, per lo meno nel suo spirito ideale sfortunatamente mai realizzato, costituisce infatti una forma di organizzazione di governo che esprime concretamente quel tipo di cultura politica che ha concesso maggiori spazi alla pacifica esistenza delle minoranze ebraiche e alla loro capacità di esprimersi in piena autonomia e di portare un loro positivo contributo all’insieme della società circostante. Ma le mura di questa ideale costruzione europea scricchiolano fortemente nel giorno del referendum britannico, e non meno alla luce delle recenti elezioni municipali nelle grandi città italiane o delle voci antieuropeiste che emergono con forza in molti paesi membri. Se l’UE, di colpo o pezzo dopo pezzo, si sfasciasse e fosse sostituita da decine di nazionalismi e populismi locali, le conseguenze per l’intero collettivo umano europeo e in particolare per le comunità ebraiche potrebbero essere molto gravi e sfortunate. Resta, è vero, il campionato europeo di calcio. Sempre meglio alcuni hooligan ubriachi di birra e di vodka che non il rombo dei cannoni. Purché si continui a giocare al calcio.

Sergio Della Pergola, Università Ebraica di Gerusalemme

(23 giugno 2016)