Parole – Quando l’identità è salvata dalla lingua
La Germania e i tedeschi è il testo che Thomas Mann legge il 6 giugno 1945 alla Library of Congress a Washington. Quel testo rappresenta l’ultimo episodio di un conflitto ormai decennale tra il premio Nobel, ormai in esilio da dieci anni, e il proprio Paese. II tema di quel “monologo” in cui Thomas Mann “convoca” la Germania e si misura con i “suoi peccati”, è a quali condizioni si possa tornare a riprendere un cammino insieme. Quel cammino si era bruscamente interrotto un decennio prima, all’inizio del 1936. Il testo di Britta Böhler fotografa quel momento di rottura. [a Germania dal gennaio 1933 è saldamente in mano al nazismo. Thomas Mann matura un distacco dalle sorti del suo Paese, ma non riesce a trovare il modo di rendere irrevocabile la sua scelta Abbandona Monaco, la città dove ha vissuto a lungo, attraversala frontiera e si stabilisce con la famiglia in una casa vicino a Zurigo. Il suo proposito è trovare il modo di rompere il silenzio e la condizione di ambiguità che ormai contraddistingue il suo atteggiamento pubblico nei confronti del regime (sul piano privato – meglio: intimo – quella rottura si è già consumata da tempo). L’occasione si presenta nel gennaio 1936. All’inizio dei quell’anno Leopold Schwarzschild, direttore di «Das Neue Tagebuch» (il periodico più diffuso e più accreditato del fuoriuscitismo antinazista), settimanale in lingua tedesca che si pubblica a Parigi, attacca l’editore Bermann Fischer perché continua a pubblicare nella Germania nazista. Bermann chiede un intervento a Thomas Mann che pubblica una lettera sulla «Neue Zürcher Zeitung» il 3 febbraio. In quella lettera Thomas Mann afferma che il governo tedesco, per il suo antisemitismo e per la decisione di uscire dalla Società delle Nazioni, rappresenta una separazione tra «il paese di Goethe e il resto del mondo civilizzato». La risposta nazista non si farà attendere. Sia sul piano generale sia nei confronti di Thomas Mann. Il 17 marzo la Germania nazista rimilitarizza la Renania, un atto che poteva esser fermato costringendo la Germania al ritiro. Né la Francia né l’Inghilterra lo faranno. In quel momento avviene il passaggio dal dopoguerra alla vigilia della nuova guerra. Cinque mesi dopo, quando riaprono i giochi delle Olimpiade a Berlino (1 agosto 1936) è sancita la dimensione, anche estetica, di chi sia la potenza egemone in Europa Forte di quella sensazione, nel dicembre 1936, il governo tedesco revoca a Thomas Mann, e a tutta la sua famiglia, la cittadinanza tedesca Thomas Mann sa già, nel momento stesso in cui scrive la lettera, che il suo problema sarà rivendicare una storia, non testimoniata da un passaporto, distinta non solo da quella che il regime nazista sta scrivendo, ma anche dal passato che quel regime rivendica. Sa che la sua forza è la sua scrittura e comprende che il centro della sua scrittura è rappresentato dalla lingua, lo strumento che va salvato e “protetto” dal nazismo. Quel percorso di maturazione tuttavia non è semplice, e molte volte in quel gennaio 1936 l’indecisione lo assale.Trovarsi senza patria materiale è una condizione sopportabile a patto di trovare una patria spirituale. Britta Böhler chiude il suo libro esattamente su quel punto, con l’affermazione «Dove sono io, lì è Germania» che da quel momento Thomas Mann dirà molte altre volte. La nuova condizione di apolide doveva rivendicare la legittimità di un’identità la cui unica traccia rimaneva nella lingua, strumento attraverso il quale testimoniare un’altra possibilità di Germania. Risorsa, nell’esilio e in solitudine, da non lasciare in mano né al potere né a coloro che, una volta amici, e ora incerti o “vinti”, «vengono meno», «si adeguano», «aderiscono». È la linea che da allora, fino a oggi, è propria di tutti gli esuli: riappropriarsi della propria lingua per non farsi espropriare della propria storia dalle proprie dittature.
David Bidussa, Sole 24 Ore Domenica, 19 giugno 2016