Fare gli europei
Massimo d’Azeglio, presidente del consiglio dal 1849 al 1852, è noto che scrisse «Abbiamo fatto l’Italia. Ora si tratta di fare gli italiani». Dopo più di un secolo, ritengo che l’Italia sia un paese ancora sostanzialmente diviso, e che questi “italiani” non siano stati completamente plasmati. Una frase analoga potrebbe essere ripetuta talora per l’Europa, poiché, nonostante la moneta unica e Schengen, quando si parla di europei si pensa più che altro al campionato di calcio invece che a un popolo con delle caratteristiche culturali in comune. Non so per l’everyman italiano o europeo quale possa essere il senso di appartenenza rispettivo all’Italia o all’Europa. Generalmente subentra un sentimento identitario soltanto in contrapposizione a qualcosa di estraneo ed esterno: siamo settentrionali rispetto ai meridionali, siamo italiani rispetto agli albanesi e ai francesi, siamo tutti europei rispetto agli extracomunitari; forse ci sentiremo anche cittadini del mondo se realmente esistessero gli alieni. Probabilmente, riprendendo pure l’ultimo intervento di Sergio Della Pergola, gli ebrei dovrebbero essere la nazione più sensibile e più interessata all’idea di Europa, e aggiungiamoci magari altre minoranze con uno stato lontano, smembrato o inesistente: come i sudtirolesi che fino ad Innsbruck non percepiscono il cambio di stato, quei triestini o goriziani che ricordano ancora l’Austria-Ungheria, o i cittadini di Gibilterra, e così i gitani, tutti gli immigrati – per esempio il mezzo milione di Italiani che vivono in Gran Bretagna – o un’ipotetica classe intellettuale, la quale ha una visione più distante rispetto alla società comune. Per gli ebrei, gli ostjuden in primis, i confini non avevano veramente nessun valore a parte essere qualcosa di limitante e coercitivo per i propri spostamenti, celebre è anche quella frase di Stefan Zweig “Una volta l’uomo aveva un’anima e un corpo, oggi ha bisogno anche di un passaporto, altrimenti non viene trattato da essere umano”, Ernst Toller invece scriveva “la mia casa è la terra, il mondo è la mia patria”. Emblematica a tal fine quella pagina nella “Storia dell’amore” di Nicole Krauss, dove con una schema di sedici cerchi divisi in quattro parti vengono mostrate tutte le possibili nazionalità della protagonista americana Alma, alla fine il fratello Bird concluderà sostenendo “Tu sei ebrea e basta”. Questo spiega allora l’adesione di molti ebrei ai movimenti internazionalisti, o la creazione dell’Esperanto, o se vogliamo la riscoperta dell’Ebraico come lingua unificatrice degli ebrei sparsi per il mondo. A volte mi domando se sarebbe stata possibile la Shoà, se l’Europa fosse stata veramente più unita, almeno come lo è oggi o come lo potrebbe essere in maniera migliore.
Forse infine riusciremo a creare un’Europa e degli europei con la scoperta della nostre radici storiche e dei suoi orrori, o del suo significato etimologico, visto che Europa era una divinità greca esule in terra fenicia – pensare poi che in antichità l’Italia era per i greci la sola Calabria! Oppure ci riusciremo quando penseremo a un insieme di popoli e comunità che vivono sullo stesso suolo nella reciproca collaborazione e nel rispetto, senza più quelle rivalità che rendono il vicino un estraneo, e poi un nemico. Ma con l’emergere del populismo euroscettico o con la sensazione di un’Europa dei pochi e guidata solo da interessi economici, questa nuova prospettiva sarà ancora lontana, se non un’utopia.
Francesco Moises Bassano
(24 giugno 2016)