Il destino delle spese militari Usa Quelle commesse a rischio
Secondo alcune indiscrezioni pubblicate nelle scorse settimane dal quotidiano israeliano Globes, il governo di Washington avrebbe chiesto al Ministero della Difesa israeliano di spendere interamente presso aziende militari statunitensi i 3 miliardi di dollari di aiuti annui che Israele riceve dagli Stati Uniti. La notizia ha suscitato allarme presso l’industria militare israeliana, che fino ad ora era destinataria di un quarto di questi acquisti. Perché l’Amministrazione Obama è arrivata a questa decisione? Quali margini di trattativa ha Israele? Come è noto, da molti anni Israele riceve aiuti economici dagli Stati Uniti; l’importo non è elevato rispetto al Pil israeliano (3 miliardi di dollari su 300) ma gli aiuti si traducono in forniture militari all’avanguardia, che consentono a Israele di mantenere una superiorità e una deterrenza rispetto ai paesi vicini. Peraltro, nell’ultimo anno Israele aveva chiesto un aumento di un miliardo di questi aiuti militari, fino a 4 miliardi di dollari, come “indennizzo” per l’accordo nucleare con l’Iran e per permettere a Israele di difendersi meglio da una minaccia iraniana. Il motivo principale della richiesta americana di spendere tutti e 3 i miliardi di aiuti negli Usa risponde principalmente all’esigenza di garantire commesse ai produttori americani; non è escluso che ci sia anche un rimbrotto al Primo ministro Benjamin Netanyahu, che negli ultimi anni ha avversato pubblicamente l’Amministrazione Obama. Quel che è certo è che una decisione in tal senso farebbe perdere quasi un miliardo di dollari di commesse che il ministero della Difesa israeliano affidava all’industria locale: oltre alla perdita di migliaia di posti di lavoro verrebbe meno una spinta a investire e innovare, con danni duraturi sulla competitività del settore. Come evolverà la questione e quali mosse hanno in serbo Netanyahu e l’industria militare israeliana? Sul piano politico incideranno due fattori di effetto opposto: da un lato la designazione del falco Lieberman a ministro della Difesa non faciliterà sicuramente le trattative, dall’altro lato le elezioni presidenziali sono alle porte e certo Obama non vorrà inimicarsi l’elettorato ebraico. Vi è comunque una possibile soluzione “tecnica” al problema: molte aziende israeliane già adesso producono una quota non piccola dei loro armamenti negli Stati Uniti, tramite società controllate (nel caso di Elbit, si tratta di quasi un quarto del fatturato); con ogni probabilità i produttori israeliani accentueranno questa “delocalizzazione” della produzione negli Usa per poter beneficiare delle commesse del Ministero della Difesa.
Aviram Levy, economista, Pagine Ebraiche Luglio 2016