Giancarlo Antognoni e l’arbitro Klein
“I fantasmi del passato? Li ho sconfitti”
Ci sono voluti oltre trent’anni perché si rincontrassero. L’italiano, ancora la stessa criniera bionda che ha fatto sognare i tifosi della Fiorentina e della nazionale. L’israeliano, un po’ invecchiato ma comunque lucido, l’ha riconosciuto al volo. “Toh, guarda chi si vede”.
L’italiano avrebbe potuto sfogare un po’ di acredine, e ne avrebbe avuto pieno diritto, ma con la signorilità che lo contraddistingue ha preferito scherzarci sopra. L’israeliano è stato al gioco. Pochi minuti insieme, il tempo di un cocktail, di un paio di battute fulminanti, e poi ciascuno via per la sua strada.
L’italiano all’anagrafe fa Giancarlo Antognoni, un gigante dello sport e del calcio azzurro. L’israeliano è nato a Timosoara, in Romania, ma da bambino (dopo l’inferno della Shoah) ha scelto la sua terra promessa, uno Stato giovane che iniziava a sedimentarsi proprio in quella stagione, dove l’hanno registrato come Abraham Klein.
Due carriere ad altissimo livello. Giancarlo, alias “l’unico 10” (come lo chiama la gente di Firenze, dove è ancora un punto di riferimento), un poeta del fazzoletto verde. Il portamento fiero, il piede fatato, giocate passate alla storia. Uno scudetto sfiorato con la viola, quello del celebre “meglio secondi che ladri”.
Abraham invece ha scelto la giacchetta nera di arbitro. Una scelta che l’ha portato lontano. Tra Mondiali, Olimpiadi, Coppe Intercontinentali ha davvero lasciato il segno. Per i colleghi della nuova generazione, che vedono in lui un esempio forse ineguagliabile, “il Collina di Israele”.
Giancarlo e Abraham si incontrano nei novanta minuti forse più emozionanti del calcio italiano. Spagna ’82, gli azzurri di Bearzot contro l’invincibile armata brasiliana di quegli anni. Un solo risultato possibile: la vittoria. In palio ci sono le semifinali del Mundial, la porta di accesso alla finalissima di Madrid. Giancarlo di quella partita è grande protagonista. È leader del centrocampo, ispira e disegna traiettorie fantastiche. Sul 3 a 2 per l’Italia, a dieci dal termine, segna il goal della sicurezza. Peccato però che Klein annulli per un fuorigioco che non c’è. Gli ultimi minuti, segnati dal forcing verdeoro, sono tutto un patire. Brividi su brividi, l’eroico salvataggio di Zoff nel finale. Triplice fischio: è fatta. Tutto ok? Neanche per sogno.
“In quel mondiale avevo un’ossessione. Volevo segnare a tutti i costi, anche una sola marcatura” racconta Giancarlo aprendoci la porta del suo ufficio a Coverciano, dove da tempo si occupa di squadre giovanili.
Klein fischia tre volte. Giancarlo esulta, ma pensa già alla semifinale. “Ecco l’occasione buona”, pensa. Ma il destino beffardo si prende gioco di lui. Calcia da tutte le posizioni, cerca la porta polacca in ogni modo. Ma niente. E, dopo l’ennesimo tentativo, ecco che si infortuna. Il verdetto è terribile: non ci sono margini di recupero, ed è inutile sperare in un miracolo. “Mi spiace Gianca, niente finale” commenta laconico il medico.
”È un verdetto che mi sono portato dietro tutta una vita. Se Klein non mi avesse annullato il goal col Brasile, quell’infortunio non sarebbe capitato e io non avrei mancato l’appuntamento di Madrid. È una convinzione – confessa Antognoni – che nessuno mi toglierà mai”.
L’incontro (casuale) con Klein risale al 2011. Giancarlo è in Israele con l’under 17, che vi disputa alcuni tornei. All’interno di una missione che definisce “indimenticabile”, l’unico 10 è invitato a un cocktail a Tel Aviv. E destino vuole che a quell’iniziativa partecipi anche l’ex fischietto di Timisoara.
Gli sguardi di incrociano, ed ecco il contatto. La memoria torna a quell’estate di gloria del nostro calcio, ma anche di profondo rancore personale per Giancarlo. Il tempo ha mitigato la sofferenza, ma non è che certe ferite si rimarginino mai del tutto. Antognoni annuisce: “Nella mia carriera mi son tolto tante soddisfazioni. Purtroppo ho vinto poco, a parte quel Mondiale. Avrei dato di tutto per esserci fino in fondo, ma quel maledetto infortunio mi ha tolto la gioia più bella”.
In quei pochi minuti a Tel Aviv, svelati da Giancarlo a Pagine Ebraiche, si è comunque chiuso un cerchio. E la soddisfazione di poter parlare (con garbo) di quell’ossessione l’ha aiutato ad alleviare il peso del passato. “Dopo l’82 non l’avevo più rivisto. E forse è stato meglio così” sorride Antognoni.
Sul tavolo una hamsa, l’amuleto portafortuna che non è raro trovare nelle case sia ebraiche che islamiche. “Mi è stato regalato a Gerusalemme, in quei giorni che mi hanno donato una prospettiva unica sul Medio Oriente e sulla società israeliana. Soprattutto mi ha impressionato la sua gioventù, vivace e straordinaria”.
Ai giovani Giancarlo (cui è dedicato un viola club a Tel Aviv) continua a dedicare gran parte del suo tempo. “Sai, non sembra, ma qui in Italia di calciatori in erba che potrebbero far strada ne abbiamo tantissimi. Basterebbe crederci un po’ di più” racconta passeggiando felice per i campi di Coverciano.
Adam Smulevich – Pagine Ebraiche luglio 2016
(28 giugno 2016)