Elie Wiesel (1928-2016) – Gli storici
“Testimone simbolo del Novecento”

marcello_pezzetti Non solo le parole, ma anche l’azione e forse addirittura l’intera vita di Elie Wiesel sono state un costante monito sulla necessità impellente della trasmissione della Memoria e allo stesso tempo per renderla uno stimolo a migliorare il mondo. La sua scomparsa pone dunque degli interrogativi incalzanti su come il passaggio del testimone a una nuova generazione ne cambierà il significato e farà evolvere i modi di parlare della Shoah. “Spero che ci sbaglieremo così come si è sbagliato lui”, la risposta di Marcello Pezzetti, direttore scientifico della Fondazione Museo della Shoah di Roma. “Wiesel affermava che della Shoah non si potesse dire nulla, e invece poi ne ha scritto cose incredibili – ha spiegato – e quindi spero che anche quelli che oggi affermano che senza Testimoni non si possa parlare di Shoah si sbaglino come lui”. “Viviamo un importante passaggio di generazione ma anche di responsabilità – concorda Gadi Luzzatto Voghera, direttore della luzzatto voghera Biblioteca Renato Maestro di Venezia e direttore in pectore della Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea – e mentre gli ultimi testimoni scompaiono dobbiamo ragionare su una nuova azione e sui nuovi strumenti che dovremo usare per non lasciare che anche la loro Memoria scompaia”. “La sua visione della realtà passava sempre attraverso la lente di ingrandimento della Shoah, e anche quando parlava di altri contesti, dal Rwanda alla Bosnia, dai curdi a Israele, Elie Wiesel era la voce della coscienza ebraica collettiva e sapevamo che non sarebbe rimasto inascoltato”, sottolinea infine la storica del CDEC Liliana Picciotto. “Il suo sguardo lucido e la sua capacità di scrittura sono stati riconosciuti un tutto il mondo – il suo commento – fino a diventare un simbolo del Novecento”.
“Di certo non possiamo e non dobbiamo imitare i Testimoni – prosegue Pezzetti – in quanto nessuno può essere un nuovo Testimone, e dobbiamo dunque fare altro, a partire dall’opera di Elie Wiesel”. Pezzetti lo conosceva di picciotto persona, e a Pagine Ebraiche ha raccontato di averlo incontrato la prima volta nel 1995, al cinquantenario dalla Liberazione di Auschwitz. “In quell’occasione – le sue parole – fece capire a tutti molte cose, e cioè che l’Europa non aveva ancora preso pienamente coscienza di quello che era avvenuto”.
Anche Picciotto ha conosciuto Wiesel di persona, e con la sua scomparsa afferma di sentirsi “orfana di una persona speciale, di un intellettuale ebreo pronto a spendersi per la causa ebraica, per la Memoria, per lo Stato di Israele e per la difesa di tutti i popoli oppressi”.
“Wiesel ha riflettuto molto e raccontato spesso la sua vicenda – conclude quindi Luzzatto Voghera – ma soprattutto ha fatto della Memoria il centro della sua azione anche politica, lavorando sulle ingiustizie nel mondo fino a ottenere il premio Nobel per la Pace e sapendo fare della Memoria qualcosa di operativo e vivo”.

f.m. twitter @fmatalonmoked

(3 luglio 2016)