Elie Wiesel (1928 – 2016)
“Credo nell’umanità contro l’umanità, credo in Dio contro Dio, perché cos’altro mi resta? Il mio scetticismo non li può fermare. Ho dubbi in molte certezze, ma poi mi dico ‘va bene’, ci sono bambini in tutto il mondo, e, per il loro bene, devo continuare ad avere fede”. Elie Wiesel non perse mai la sua fede, nonostante tutto. Non la perse in Dio e nemmeno nell’umanità, ma la sua vita fu segnata da sofferti interrogativi e non da certezze. Dov’era Dio ad Auschwitz? Dove era l’uomo? Le domande senza risposta che Wiesel, Testimone della Shoah, scrittore, voce morale del mondo contemporaneo, si è posto nel corso della sua vita. E che lascia in eredità alle future generazioni, dopo la sua scomparsa avvenuta ieri a Boston all’età di 87 anni. Wiesel è stato “un messaggero di pace”, secondo la definizione del comitato che nel 1986 gli conferì il Premio Nobel per la pace. “La sua convinzione che le forze che combattono il male nel mondo possano vincere è una convinzione conquistata con fatica”, si legge ancora nel testo che conferì al Testimone, autore del celebre racconto La Notte, basato sulla sua tragica esperienza nei Lager di Auschwitz, Monowitz e Buchenwald. In questo testo, uscito prima in yiddish con il titolo E il Mondo rimane in silenzio e poi ripubblicato in una versione ridotta in francese con il titolo La Nuit (tradotto in inglese e che ha venduto oltre 10milioni di copie), Wiesel denunciò l’indifferenza del mondo di fronte alla Shoah, l’inazione delle forze alleate di fronte al genocidio ebraico, e al contempo mise per iscritto strazianti domande sulla propria identità e sulla propria fede. “Dietro di me sentii il solito uomo domandare: – Dov’è dunque Dio? E io sentivo in me una voce che gli rispondeva: – Dov’è? Eccolo: è appeso lì, a quella forca…”. Prima di dare forma a queste parole Wiesel, nato a Sighetu sui monti Carpazi in Romania, aspettò dieci anni. Come molti sopravvissuti non riuscì subito a parlare. “Ero in cerca delle parole”, dirà in un’intervista. E una volta sbloccata la memoria, la sua testimonianza diverrà una delle voci più ascoltate sul panorama internazionale, una memoria che inchioderà il mondo davanti alle sue responsabilità per le milioni di vittime della Shoah. “Mai dimenticherò quella notte, la prima notte nel campo, che ha fatto della mia vita una lunga notte e per sette volte sprangata. – scriverà Wiesel nella sua opera La Notte – Mai dimenticherò quel fumo. Mai dimenticherò i piccoli volti dei bambini di cui avevo visto i corpi trasformarsi in volute di fumo sotto un cielo muto. Mai dimenticherò quelle fiamme che bruciarono per sempre la mia Fede. Mai dimenticherò quel silenzio notturno che mi ha tolto per l’eternità il desiderio di vivere. Mai dimenticherò quegli istanti che assassinarono il mio Dio e la mia anima, e i miei sogni, che presero il volto del deserto. Mai dimenticherò tutto ciò, anche se fossi condannato a vivere quanto Dio stesso. Mai”. Un “mai” a cui si aggiunge il dovere della testimonianza, della trasmissione della Memoria della Shoah affinché non cada nell’oblio: “se dimentichiamo, siamo colpevoli, siamo complici”, il j’accuse di Wiesel. Seppur si sia sempre battuto per i diritti umani e per tramandare il testimone della Memoria, Wiesel non ha mai nascosto un doloroso scetticismo nei confronti del mondo e sul fatto che la lezione della Shoah sia stata compresa. “No, il mondo non ha imparato – dirà in un’intervista alla rivista ebraica americana Moment, che, dopo il suo arrivo negli Stati Uniti negli anni Cinquanta, contribuirà – In caso contrario come potrebbe spiegarsi la Cambogia e il genocidio che vi fu compiuto, la fame l’umiliazione. Come è spiegabile?”. “Se qualcuno ci avesse detto nel 1945 che avremmo dovuto ancora combattere le stesse battaglie allora non gli avremmo creduto – confesserà Wiesel in un’intervista rilasciata per il conferimento del Nobel per la Pace – Il razzismo, l’antisemitismo, la fame dei bambini, e chi mai l’avrebbe creduto ancora possibile? Ero convito che l’odio tra le persone fosse morto con Auschwitz. Ma le vittime sono morte, i nemici sono ancora qui. Nuovi. E così mi chiedo ‘che cosa stiamo facendo su questo pianeta?”. Wiesel denuncerà l’oppressione degli ebrei sotto il regime sovietico, il genocidio in Cambogia, nell’ex Jugoslavia. Sarà una voce autorevole in difesa di Israele, tanto che il Primo ministro Benjamin Netanyahu gli offrirà di diventare Presidente dello Stato ebraico; proposta garbatamente rifiutata dallo stesso Wiesel. Appassionato studioso di ebraismo, ricorderà come i genitori gli trasmetteranno l’impegno a studiare Torah ma anche l’ebraico moderno (lingua che padroneggiava sin dai primi anni Cinquanta come dimostra il fatto che fu il corrispondete dell’israeliano Yedioth Ahronoth a Parigi). Dopo Auschwitz, Wiesel non vedrà affievolirsi la sua fede in Dio, seppur – come dimostrano le parole de La Notte – più volte si interroghi su di lui. O, come dirà al New York Times, “Se ho problemi con Dio, perché dovrei incolpare lo Shabbat?”.
d.r.
(3 luglio 2016)