Il settimanAle – Start Down

alessandro-treves Avi Hasson è da oltre cinque anni Chief Scientist del Ministero dell’Industria israeliano, ed ha guidato col mitico MATIMOP, il suo braccio operativo, il miracoloso sviluppo dell’hi-tech nella “start-up nation”. Ha il titolo di scienziato (in Israele diversi ministeri hanno il loro Chief Scientist, ed il più importante, quello che non ha bisogno di ulteriori qualifiche, è proprio quello a capo del MATIMOP) ma in realtà viene da una ventina d’anni come manager nell’industria; e non è certo solito atteggiarsi a Cassandra accademica. Eppure nel suo rapporto al Primo Ministro, presentato qualche giorno fa, la soddisfazione per gli indubbi successi del paese, nella proliferazione di nuove start-up e nell’hi-tech in generale, si accompagna a fosche previsioni per il futuro. Lo racconta Shoshanna Solomon sul Times of Israel del 30 giugno. Il rapporto cita dati che confermano, per il 2015, la vitalità del settore: dai 4.4 miliardi di dollari raccolti dagli investitori agli 8 miliardi ottenuti complessivamente con molteplici casi di “exit”, la vendita delle imprese in fase di decollo, che al contrario della Brexit rappresenta l’agognato coronamento degli sforzi di chi esce. Però Israele ha perso il primato per investimenti non militari in Ricerca e Sviluppo, scesi per quanto riguarda il pubblico allo 0.52%, nel 2015, dallo 0.8% del prodotto interno lordo nel 2002. Ancora più preoccupante è la mancanza, a lungo termine, di forza di lavoro qualificata. I giovani che si laureano in materie scientifiche sono scesi dal 13% nel 2004 al 8.7% nel 2014; in particolare in informatica, statistica e matematica da 3000 laureati nel 2004 a 2250 nel 2014. Nella prossima decade mancheranno all’appello oltre 10.000 fra ingegneri e programmatori.
Sarà perché mi trovo a Copenhagen, e sono passato poche ore fa davanti alla statua di Soren Kierkegaard, ma ho letto nell’articolo di Shoshanna un pessimismo esistenziale che va al di là delle aride cifre. Che stia cambiando qualcosa nella percezione sociale degli ingegneri informatici, il nerbo di buona parte dell’hi-tech? Qualcosa che può dissuadere dall’intraprendere questo percorso? Leggo spesso dei tentativi di invogliare i giovani arabo-israeliani ad avvicinarsi alla tecnologia, l’ultima volta il pezzo di Eitan Goldstein su Ynet del 28 giugno; sento i commenti di mia figlia sulla scarsa attrattiva che per lei rivestono i ruoli da informatico nell’esercito; amici miei coetanei mi dicono dei licenziamenti in tronco che si susseguono nei centri R&S delle multinazionali; e mi chiedo: non è che i maghi dei computer, finora osannati, stanno per diventare degli sfigati? Dei lùserim, con quell’orribile etichetta americana che poi non ci si toglie più di dosso? Delusi e sfruttati dalla concentrazione del potere e dei guadagni nelle mani di pochi? Speriamo di no. Startuppari di tutta Israele, unitevi!

Alessandro Treves, neuroscienziato

(3 luglio 2016)