Ugo Sacerdote (1924 – 2016)
L’impegno per la Resistenza, nel partigiano Ugo Sacerdote, scomparso ieri a Torino all’età di 92 anni, è nato pochi mesi dopo l’8 settembre 1943 e da allora non si è mai più fermato. Negli anni successivi, a poco a poco infatti ne è diventato la memoria storica, per la quale si è sempre impegnato come presidente del Comitato di coordinamento delle associazioni partigiane piemontesi, ma anche distinguendosi come punto di riferimento per le giovani generazioni sui valori della libertà. Nato nel capoluogo piemontese il 25 ottobre 1924 in una famiglia ebraica, ingegnere di professione, dopo aver vissuto l’orrore delle leggi razziste, fu tra le valli piemontesi che prese parte alla lotta partigiana nelle brigate di Giustizia e Libertà, combattendo al fianco di Emanuele Artom, che fu catturato durante un rastrellamento nel marzo del 1944 proprio mentre era impegnato in un’azione con lui.
Il suo nome di battaglia era semplicemente Ugo, come si legge nella sua scheda personale del Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea, che nel dopoguerra si attivò per raccogliere tutti i dati relativi agli ebrei che parteciparono alla Resistenza. Quella di Sacerdote fu compilata nel 1964, e vi si trovano elencati a mano uno in fila all’altro tutti i momenti della sua azione in diverse formazioni e in diverse località del Piemonte, con il grado di Commissario Politico e Comandante di distretto. Nelle valli piemontesi arrivò già prima dell’8 settembre con la madre Emma Nizza, affittando un alloggio ad Ala di Stura, in Val di Lanzo. In un’intervista rilasciata nel 2009 al giornale del gruppo di studi ebraici torinesi Hakeillah, Sacerdote ricorda quello che definisce “un episodio quasi grottesco” relativo al momento dell’inizio delle deportazioni naziste. “Quando arrivò la voce dell’ordine d’internamento per tutti gli ebrei – le sue parole – il nostro padrone di casa ci offrì ospitalità in una baita sulle montagne, raccomandandoci di non uscire di casa di giorno. Stemmo dunque rintanati come c’era stato consigliato; quando poi all’imbrunire osammo mettere il naso fuori per fare qualche passo scoprimmo con stupore che nella baita accanto stava rifugiata la famiglia di Enrico Malvano, Presidente della Comunità!”.
L’impegno per la Resistenza faceva già parte della sua famiglia, poiché come aveva raccontato in un’intervista realizzata nell’ambito del progetto del CDEC “Memoria della salvezza”, sua madre aveva già aveva fatto parte di gruppi di opposizione clandestina al regime. “Era preoccupata per la mia incolumità, quando la lasciavo per azioni in montagna coi partigiani – aveva raccontato Ugo – ma non mi ha mai fermato. Per noi partigiani la vita era diversa. Noi il rischio lo avevamo di fronte, era calcolato. Gli altri ebrei invece vivevano il rischio dietro ogni cantone”. Naturalmente, i momenti di speranza e di scoramento si alternavano anche per loro, come aveva sottolineato ad Hakeillah, ricordando “l’ultima domenica che passai con Emanuele”, alla vigilia del rastrellamento del 1944 in cui venne catturato. All’epoca ad esempio, aveva osservato, “c’era un certo ottimismo dovuto alle notizie che ci giungevano, da una parte di sviluppi migliori sui fronti di guerra, dall’altro di scioperi a catena nelle fabbriche. In quel momento vedevamo la fine relativamente vicina. Subito dopo invece i tedeschi procedettero a grandi rastrellamenti, fra cui quello in cui venne catturato Emanuele”. Se la fiducia nella vittoria finale andò incontro a questi alti e bassi, aveva però aggiunto Sacerdote, “lo spirito di coesione e la coscienza dell’importanza della guerra di Liberazione tra i partigiani non smise però mai di crescere, tanto che anche nei momenti più difficili non vi furono praticamente mai defezioni”. Un successo possibile grazie al lavoro d’istruzione dei partigiani, “compito che io stesso svolsi insieme ad Emanuele Artom. Molti di quei ragazzi – aveva spiegato Ugo – s’arruolavano nelle bande più per sfuggire ai rastrellamenti dei tedeschi che non sulla base di solide idee democratiche e di rinnovamento. Dovemmo quindi via via istruire i nostri compagni, specialmente quelli più giovani, educati sotto il fascismo e di conseguenza del tutto ignari di partiti e di democrazia, o – come avrebbe detto Emanuele Artom – ‘impermeabili alla cultura’”.
Lo stesso spirito lo animava anche nel “trasferire con tenacia e costanza i valori fondanti della Resistenza” ai giovani di oggi, come ha ricordato anche il presidente della giunta regionale del Piemonte Sergio Chiamparino in un messaggio di Cordoglio alla famiglia. Quello della Liberazione, aveva ricordato Sacerdote, “è stato certo un momento di grandi speranze. Alcuni sostengono oggi che molte di queste speranze sarebbero andate deluse – aveva proseguito – ma se mi guardo indietro negli ultimi sessant’anni io non posso che scorgere i segni di un grande progresso, economico, civile, culturale. La sfida riposta nelle nuove generazioni è quella di tener vive e far germogliare ancora quelle conquiste”.
(3 luglio 2016)