JCiak – Al via il Jerusalem Film Festival
Una maratona lunga dieci giorni di conferme, debutti e nuove scoperte. Si leva questa sera il sipario sul Jerusalem Film Festival, massimo evento della stagione cinematografica israeliana che in questa 33esima edizione si prospetta ancora più frizzante del solito. Fra le proposte in concorso, spiccano due film che molto hanno fatto parlare di sé a Cannes: One week and a Day – Shavua Veyom di Asaph Polonsky, già vincitore del Prix Fondation Gan à la diffusion della Settimana della critica, che narra in chiave affettuosa e ironica le reazioni di due coniugi alle morte del figlio e Beyond the Mountains and Hills – Me’ever laharim vehagvaot, racconto della crisi di coscienza di un militare di carriera che dopo trent’anni torna alla vita civile firmato da Eran Kolirin, regista che che nel 2007 aveva vinto a Gerusalemme con La Banda, film che aveva riscosso notevoli successi a livello internazionale. Ma le novità sono molte e tutte d’impatto.
Il festival, che sarà inaugurato da Julieta, l’ultima commedia di Pedro Almodovar basata su tre racconti di Alice Munro, schiera molti nomi di valore del cinema israeliano. Torna Meny Yaesh con The Father, storia di un buttafuori nei nights di Tel Aviv che per esaudire il suo sogno di diventare padre si immerge nel mondo equivoco dello strozzinaggio. Ha un protagonista maschile anche Saving Neta, ultimo lavoro di Nir Bergman che racconta come un uomo, Neta appunto, finisca per cambiare le vite di quattro donne. Bergman aveva debuttato nel 2002 proprio al Jerusalem Film Festival con Broken Wings che aveva vinto il primo premio mentre il suo secondo lavoro, Intimate Grammar, aveva vinto il premio Haggiag sei anni fa.
A Gerusalemme troviamo Ari Folman, balzato alla ribalta internazionale nel 2008 grazie a Valzer con Bashir, potente animazione che raccontava gli incubi di un militare dopo la guerra del Libano. Questa volta il tema del film, codiretto con Ori Sivan, è di gran lunga più rasserenante. Harmonia trasfigura infatti la storia di Abramo e Sara immaginandola sullo sfondo del mondo della musica sinfonica in Israele.
Si prospetta poi di grande interesse, come sempre, la sezione Best Israeli Documentary che spazia dalle vicende di Ben Gurion alla lotta dei giocatori musulmani del Beitar Jerusalem per conquistare la fiducia dei fan, dalle memorie di una donna nordafricana residente a Dimona alla storia del candidato sindaco di Gerusalemme.
Ma come sempre lo sguardo del festival scavalla i confini con felice disinvoltura. Troviamo così il maestro Alejandro Jodorowsky (celebrato regista de Il Topo e La Montagna sacra) con Endless Poetry, secondo capitolo di un’autobiografia in cinque parti che Variety ha definito il suo lavoro più accessibile. Troviamo Philip Roth che torna, in via indiretta, nell’ultimo lavoro di James Schamus Indignation ispirato al suo omonimo romanzo, storia di uno studente ebreo in un college conservatore costretto a prendere atto dell’antisemitismo diffuso nell’America degli anni Cinquanta. E ci troviamo a fare i conti con la più cruda attualità della violenza terroristica con Je suis Charlie di Daniel ed Emmanuel Leconte, padre e figlio, che ripercorrono il massacro del gennaio 2015 nel settimanale parigino.
Daniela Gross
(Nell’immagine One week and a Day – Shavua Veyom di Asaph Polonsky)
(7 luglio 2016)