La vittoria del Maccabi Rishon Lezion “È la testa che conta, molto più delle mani”
Quindici interminabili secondi per raggiungere la finale, per continuare a sognare e fare la storia del Maccabi Rishon Lezion. Quindici secondi per difendere i due preziosissimi punti messi a segno da Darryl Monroe, vecchia conoscenza del basket italiano, e resistere alla squadra che negli ultimi 10 anni è sempre arrivata in finale e per sei volte ha vinto il titolo, il Maccabi Tel Aviv. A nove secondi dalla fine Rishon Lezion è avanti 71-69. L’americano Taylor Rochestie, dei gialli di Tel Aviv, penetra in area e a una mano prova a riportare avanti i suoi. La palla sbatte sul ferro ma il rimbalzo è ancora per Tel Aviv. Cinque secondi. Palla a Guy Pnini, nelle sue mani l’ultimo tiro da tre. “Ho sentito il cuore di migliaia di persone fermarsi”, racconta un tifoso del Rishon Lezion. Se Pnini la mette, addio sogno. Ma la tripla sbatte sul ferro e nella Jerusalem Payis Arena esplode l’urlo degli arancioni del Rishon Lezion. È finale. Coach Arik Shivek non trattiene le lacrime, tra emozione e tensione alle stelle. “Ci avevano dato per finiti quando nelle Final Four Haifa si era riportata in parità sul due a due, recuperando le nostre due vittorie. E invece ci siamo ripresi perché nel basket la testa conta. Eravamo sfavoriti con il Maccabi ma con la testa e con il sistema di gioco abbiamo vinto” sottolinea a Pagine Ebraiche coach Shivek. “Poi siamo tornati a Gerusalemme per la finale e di nuovo eravamo sfavoriti. Eravamo in casa loro, dell’Hapoel Jerusalem, eppure abbiamo vinto. E sono fiero e orgoglioso di quello che abbiamo fatto. È stato qualcosa di storico” ricorda Shivek a un paio di settimane dalla incredibile vittoria del campionato di basket israeliano da parte del Maccabi Rishon Lezion. “Abbiamo avuto migliaia di tifosi che ci sostenevano, sono stati grandi per tutta la stagione. E poi sono contento perché anche i fan di altre società mi hanno avvicinato dopo la vittoria finale e mi hanno fatto le congratulazioni. Persino quelli del Maccabi e dell’Hapoel mi hanno detto: ‘visto che non abbiamo vinto noi, siamo contenti che tra tutte lo abbiate fatto voi’. Siamo riusciti a raccogliere consensi e simpatie anche fuori da Rishon Lezion (città a sud di Tel Aviv che conta 230mila abitanti)”. Il demiurgo di questa vittoria è proprio Shivek, aiutato dalle ottime prestazioni in campo di Monroe e dall’israeliano Shawn Dawson (classe 1993 e in odore di Nba), tra i protagonisti assoluti del campionato, e da un sistema di gioco in cui la difesa ha un ruolo fondamentale. Laureto in ingegneria elettronica, Shivek racconta che nei suoi trent’anni di carriera ha sempre avuto la passione per l’insegnamento e in questo modo interpreta il suo basket. “Su questo punto mi piace molto Ettore Messina, è un coach molto didattico, che crede profondamente nei suoi schemi di gioco. Sono andato a vederlo al Cska Mosca e sono d’accordo con la sua filosofia – spiega Shivek – Mi piace avere il controllo, giocare in modo intelligente e puntare molto sulla difesa. Ho un mio sistema, non dico che gli altri non vadano bene, ma io ho fiducia nel mio”. Una delle chiavi per ottenere risultati, secondo l’allenatore che dal 2009 al 2014 ha guidato la nazionale israeliana, è quella di insegnare ai giocatori a leggere le partite. “Insistiamo molto su questo punto. La capacità di leggere le situazioni nel più breve tempo possibile. Perché è lì la chiave per superare gli altri”. Se sei arrivato a un certo livello, sottolinea Shivek, è perché hai qualità ma è la testa che conta. “Quando chiesero a Michael Jordan – spiega il coach – quale fosse la cosa più importante per un giocatore, tutti si aspettavano dicesse le mani ma lui indicò la testa. Non bastano le qualità, devi usare il cervello per essere un campione”. E per sapere resistere alla pressione, una capacità che la sua squadra ha saputo avere in diversi momenti della stagione, in particolare nelle finali: partita come l’underdog e poi alla fine vincitrice del campionato. In Israele Shivek non aveva mai vinto ma ci era tornato per guidare la nazionale nel 2009 dopo aver ottenuto nei cinque anni precedenti coppe, campionati e onori in Belgio e Olanda. “Due esperienze che mi hanno permesso di capire come si gestisce una squadra dal punto di vista manageriale. Di comprendere meglio ciò che c’è attorno al campo e saper risolvere problemi”. Relativamente alla sua esperienza sulla panchina di Israele, Shivek spiega le differenze rispetto al fatto di allenare un club: “In una nazionale il morale è importante. Hai poco tempo a disposizione e devi saper indirizzare i tuoi su una scia positiva. Quante squadre nazionali discrete abbiamo visto andare avanti grazie all’onda lunga prodotta da un buon inizio?”. Con poche gare a disposizione, avere subito confidenza nelle proprie capacità è fondamentale. Una confidenza che secondo Shivek è importante che anche le squadre di club israeliane affinino giocando il più possibile tornei internazionali. “Sono convinto che per fare un salto di qualità sia necessario giocare al di là dei confini israeliani. In questo modo si alza anche il livello interno”. La sua Rishon Lezion il prossimo anno calcherà quei palcoscenici, con la speranza di ripetersi. “Testa sulle spalle e concentrazione. Poi si vedrà”.