leadership…

Nella Parashà di Chukkàt, letta Shabat scorso, assistiamo al tramonto di quella prima leadership che ha guidato il popolo ebraico fuori dall’Egitto. Alla morte di Aròn e di Miriam si aggiunge la drastica comunicazione a Moshè di uscire di scena. Moshè batte la roccia, da cui esce l’acqua, anziché parlargli come l’Eterno gli ha comandato e per questo motivo viene sentenziata la fine della sua leadership. Il rapporto del popolo ebraico con Moshè è segnato da due analoghe contestazioni riconducibili alla mancanza di acqua. La prima ribellione per l’acqua avviene quando il popolo è appena uscito dall’Egitto (Shemòt capitolo 17, la seconda in Bemidbar capitolo 20) alla vigilia dell’ingresso in Eretz Israel. Se nella prima circostanza è stato sufficiente percuotere la roccia con la verga per far sgorgare l’acqua, nella seconda storia a Moshè viene richiesto di parlare alla roccia. Moshè, viceversa, sembra preferire la coazione a ripetersi riproponendo la stessa formula con cui ha agito quasi 40 anni prima. A un leader non è concesso riciclarsi. Fare le cose in automatico perché sono andate bene una volta, non significa che funzioni ancora. Un leader deve invece comprendere che le modalità con cui gestisce una comunità in un certo momento non possono funzionare automaticamente in un altro periodo storico. Anche Moshè deve trovare nuove forme di comunicazione per tentare di far emergere ciò che è fluido come l’acqua da ciò che è duro e immobile come una roccia. Ci sono momenti per bacchettare e altri in cui è indispensabile parlare.
Ma in questa storia Moshè sembra commettere un’altra mancanza. A Moshè viene comandato di convocare l’”edà”, di prendere con lui la verga e di parlare alla roccia (Bemidbar, 20; 8). Moshè invece convoca il Kahal- anziché l’Edà – (Bemidbar, 20; 10) percuote la roccia, l’acqua esce e disseta il popolo. Se l’espressione “Kahal-Kehillà” corrisponde a una convocazione di assemblea permanente (vedi l’assonanza con la radice “kol”, “voce”), l’”Edà” è la forma più elevata di congregazione, con il suo significativo richiamo etimologico a quella radice che indica la testimonianza. Come a dire che la sfida di ogni Kehillà resta quella di riuscire a elevarsi e trasformarsi in una Edà. Un raggruppamento di individui che stanno assieme per portare avanti una testimonianza e un progetto particolari. Quando un leader non crede più nella possibilità che la sua Comunità potrà trasformarsi da Kahal-Kehilà a Edà non può più esserne il leader.

Roberto Della Rocca, rabbino

(19 luglio 2016)