Auschwitz, Bergoglio sceglie il silenzio
Durerà circa due ore la visita di Bergoglio ad Auschwitz-Birkenau, il prossimo 29 luglio. Il papa visiterà molti luoghi, ma non terrà nessun intervento pubblico rivolgendo a tutti i presenti un invito al silenzio, all’introspezione e alla commozione. Una scelta molto diversa da quella operata dai suoi predecessori, Wojtyla e Ratzinger, che affidarono i propri pensieri rispettivamente a un’omelia e a un discorso pronunciato in un contesto non liturgico. A riferirlo oggi, nel corso di un incontro con i giornalisti cui ha preso parte anche la redazione UCEI, il portavoce vaticano padre Federico Lombardi (nell’immagine).
Come illustrato dallo stesso, Bergoglio farà il suo ingresso ad Auschwitz passando sotto la celebre insegna con la scritta “Arbeit macht frei”, “Il lavoro rende liberi”. Accolto dal primo ministro polacco, dopo una preghiera silenziosa nella piazza dell’appello, Bergoglio visiterà il blocco 11 dove trovarono la morte numerosi perseguitati politici e renderà omaggio tra gli altri alla figura di padre Massimiliano Kolbe, particolarmente cara alla Chiesa. All’esterno incontrerà invece individualmente dieci superstiti al lager (di cui non è stata resa ancora nota l’identità, come ha spiegato Lombardi rispondendo alle domande di Pagine Ebraiche). Uscendo dal campo, lascerà infine un breve messaggio sul libro degli ospiti. L’unica testimonianza verbale di questa visita. “E per questo ancora più importante e significativa” ha sottolineato Lombardi nel corso dell’incontro.
La tappa successiva sarà Birkenau, dove il papa sosterà davanti al grande monumento in ricordo delle vittime dello sterminio (in grande maggioranza ebrei, come ha riconosciuto Lombardi). Al suo fianco il primo ministro di Varsavia e il direttore del Museo di Auschwitz. Un migliaio i presenti tra rappresentanti delle istituzioni, del mondo ebraico e del clero polacco. Nell’occasione Bergoglio incontrerà inoltre 25 Giusti tra le Nazioni ancora in vita e ascolterà la lettura (anche in ebraico) del Salmo 130 da parte di un rabbino, prima di fare ritorno a Cracovia per il proseguo delle attività legate alla Giornata Mondiale della Gioventù.
“Dietro queste lapidi – aveva affermato Ratzinger nel suo potente discorso ad Auschwitz del 2006 – si cela il destino di innumerevoli esseri umani. Essi scuotono la nostra memoria, scuotono il nostro cuore. Non vogliono provocare in noi l’odio: ci dimostrano anzi quanto sia terribile l’opera dell’odio. Vogliono portare la ragione a riconoscere il male come male e a rifiutarlo; vogliono suscitare in noi il coraggio del bene, della resistenza contro il male”.
“Io sono oggi qui – rifletteva Ratzinger come figlio del popolo tedesco, e proprio per questo devo e posso dire come lui: non potevo non venire qui. Dovevo venire. Era ed è un dovere di fronte alla verità e al diritto di quanti hanno sofferto, un dovere davanti a Dio”.
“Perché, Signore, hai taciuto? Perché hai potuto tollerare tutto questo? È in questo atteggiamento di silenzio che ci inchiniamo profondamente nel nostro intimo davanti alla innumerevole schiera di coloro che qui hanno sofferto e sono stati messi a morte” aveva quindi sottolineato il papa al termine del Kaddish, la preghiera ebraica per i morti.
“Auschwitz è un tale conto con la coscienza dell’umanità attraverso le lapidi che testimoniano le vittime di questi popoli che non lo si può soltanto visitare, ma bisogna anche pensare con paura a questa che fu una delle frontiere dell’odio.
Auschwitz è una testimonianza della guerra. La guerra porta con sé una sproporzionata crescita dell’odio, della distruzione, della crudeltà. E se non si può negare che essa manifesta anche nuove possibilità del coraggio umano, dell’eroismo, del patriottismo, rimane tuttavia il fatto che in essa prevale il conto delle perdite. Prevale sempre di più – osservava Wojtyla, il primo papa a visitare il campo di sterminio, nel 1979 – perché ogni giorno cresce la capacità distruttiva delle armi inventate dalla tecnica moderna.
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(20 luglio 2016)