Shir Shishi – “Mamma, traducile quel che dico”
Come preannunciato, anche questo Shir Shishi tocca l’esistenza “Mizrahi”. Alon Bar è un giovane poeta al suo primo volume, dunque la presentazione al pubblico è estremamente importante e altrettanto conta la reazione della cerchia più vicina a lui, ovvero la famiglia. Rischierei di cadere nel cliché se scrivessi che la reazione dei parenti stretti di fronte al primo lavoro letterario, nello specifico in Israele, riscuote una reazione identica che si tratti di ashkenaziti, sefarditi, femministe o gay. Alon Bar ha pubblicato il suo primo libro di poesie rompendo due barriere, quella dell’identità levantina (Mizrahi) e quella gay, in ebraico, “homo”. “Ancora oggi”, scrive Ines Alias su Ha’aretz, ”i gay mizrahim in Israele non sono organizzati in gruppi sociali”. Per questione di pudore, di paura di raccontare alla mamma che attende ansiosa il matrimonio e i nipoti, o perché è difficile raccontare alla zia. O forse perché gli stessi mizrachim sono solo all’inizio del processo di identificazione come gruppo.
Mamma, traducile quel che dico –
“Ibni* Alon è homo”.
Mamma, diglielo ancora una volta –
Ibni Alon è homo.
Ah! ya mamma! quanto questa parola
si rotola bene sulle tue labbra.
Dille ancora una volta –
Ibni Alon è homo.
Diglielo ancora mamma,
affinché io mi abitui, affinché
ami udire il mio nome intonato e
non solo tra i tuoi occhi.
Ancora, mamma.
(*Ibni – in arabo, mio figlio)
Alon Bar, Ogni giorno una cosa cade, Halikon, 2016
Sarah Kaminski, Università di Torino