Rio guarda a Monaco. Senza imbarazzi
La differenza dovrebbe essere tangibile, mettendo al riparo da nuovi imbarazzanti equivoci e parole non dette per convenienza politica e strategica. Perché in un’epoca caratterizzata da nuove terribili minacce, in particolare quella del terrorismo islamico, nessuno può permettersi di chiudere gli occhi e di tacere. Anche i vertici mondiali dello sport, che hanno già pagato un prezzo di sangue molto alto per la scarsa consapevolezza e preparazione nel loro passato.
Per questo, l’edizione dei Giochi Olimpici di Rio che prenderà avvio il 5 agosto, dovrebbe segnare un importante e atteso ritorno. Quello della coerenza di chiamare le cose con le proprio nome, rendendo il giusto omaggio a chi, ritenendosi immune da qualsiasi minaccia dall’esterno perché protetto dalla bandiera universale a cinque cerchi, la più inviolabile e sacra delle bandiere sin dai tempi della Grecia antica, fu barbaramente ucciso per il semplice fatto di avere una precisa connotazione identitaria.
Non sarà un evento marginale, e soprattutto non passerà nel silenzio dei media, la cerimonia che il comitato organizzatore dei Giochi di Rio de Janeiro allestirà con i massimi onori in ricordo degli atleti e allenatori israeliani trucidati dai terroristi palestinesi di Settembre a Monaco ’72, di cui molto si è tornati a parlare in questi giorni per via della strage compiuta negli stessi luoghi dal 18enne Ali Sonboly.
Quattro anni fa, a Londra, nel quarantesimo esatto dalla carneficina, fu scelto il basso profilo. Arrivando non solo a negare il minuto di silenzio chiesto incessantemente dalle vedove e da una buona parte di opinione pubblica internazionale, ma anche a calpestare in altre forme richieste di inequivocabile buon senso.
Stavolta, a meno di sorprese dell’ultimo minuto, il registro sarà ben diverso.
Il merito è anche di Carlos Arthur Nuzman, presidente del comitato organizzatore dei Giochi. Una figura che abbiamo già presentato nello scorso numero di Pagine Ebraiche, all’interno del dossier Sport, e che continua a dimostrare, giorno dopo giorno, una grande capacità di tenere insieme i molti tasselli di un mosaico per lungo tempo apparso decisamente complesso. Tanto che in molti tra gli addetti ai lavori, negli scorsi anni, e fino a poche settimane fa, hanno immaginato un esito diverso per il torneo, fino all’ipotesi di una clamorosa sospensione senza eguali nella storia.
Troppi i ritardi, troppe le difficoltà logistiche che hanno rischiato di far naufragare ogni buona intenzione. Ma se la sfida di Rio ha tenuto, nonostante alcuni evidenti problemi strutturali e nonostante le forti perplessità di alcuni (in parte, certamente non disinteressati), il merito è anche suo.
“Il mio rapporto con l’ebraismo e con Israele inizia attraverso lo sport, e nello specifico attraverso la pallavolo praticata sia con il Club Israelo-Brasiliano che con il Maccabi, con cui ho vinto numerose medaglie” ha raccontato Nuzman in una recente intervista con la stampa israeliana. Un legame che l’ha portato lontano visto che è stato tra i protagonisti del quintetto nazionale verdeoro che ha partecipato alle Olimpiadi nel 1964, la prima edizione in cui questa disciplina ha iniziato a far parte del programma di gare dei Giochi.
Nipote di un ebreo russo emigrato in Sud America in cerca di fortuna, Nuzman è membro attivo e dirigente della sinagoga conservative Congregacao Judaica do Brasil. Suo padre Izaak, attivo a Rio e nella sezione cittadina dell’organizzazione filantropica Keren Hayesod, ebbe inoltre il merito di contribuire all’organizzazione di una visita in Brasile dei due storici presidenti israeliani David Ben Gurion e Golda Meir. “Un grande sionista, un grande leader” il ricordo del figlio nel corso dell’intervista.
Curiosamente, all’interno del comitato organizzatore la presenza ebraica è molto significativa. Affiancano Nuzman tra gli altri i correligionari Sidney Levy, che dirige l’esecutivo, e Leonardo Gryner, un esperto di comunicazione e di marketing.
Sono loro tre (nell’immagine in alto, con Nuzman al centro), insieme ad alcuni stretti collaboratori, i principali artefici della cerimonia in ricordo dei fatti di Monaco che avrà luogo nel municipio di Rio il 14 agosto. Come a Londra non ci sarà un minuto di silenzio, perché così ha deciso il Comitato Olimpico Internazionale. Ma l’atmosfera sarà comunque solenne e partecipata. E le vedove di Yossef Romano e Andre Spitzer, tra le più attive nel ricordo di quelle ore terribili, vere e proprie ambasciatrici di una sfida di memoria portata avanti con coraggio nelle diverse sedi, potranno commemorare tutte e undici le vittime con una candela accesa per ciascuno dei caduti e con parole che saranno condivise con una ampia e qualificata platea di istituzioni, delegazioni, atleti.
Una data, quella del 14 agosto, che non è casuale. Cade infatti in quelle ore il digiuno di Tishà Be Av, uno dei momenti più luttuosi del calendario ebraico in cui si commemora la distruzione del Secondo Tempio di Gerusalemme e un’altra serie di eventi nefasti.
“Il sindaco aprirà le porte del municipio in un gesto di grande amicizia con la comunità ebraica brasiliana e con tutto il popolo d’Israele. Un gesto che apprezziamo e che ci commuove, anche per la scelta della data in cui questo avverrà” ha sottolineato il console onorario dello Stato ebraico a Rio de Janeiro.
Una nuova importante pagina di Memoria per un mondo, quello dello sport, che mai come oggi è chiamato a ritrovare le proprie radici etiche e valoriali per continuare ad essere un punto di riferimento credibile per milioni di persone in tutto il pianeta. Una sfida che passa anche da brevi ma fondamentali iniziative simboliche.
Adam Smulevich
(24 luglio 2016)