Venezia, gli ebrei, l’Europa
Il Ghetto diventa un palcoscenico Il Mercante scende in Campo
Una prova generale emozionante, affollata più di una prima, con il Ghetto che per la prima volta si è trasformato nella scenografia di quel Mercante di Venezia che, nonostante non sia mai esistito, è l’ebreo cittadino più famoso di tutti i tempi. Una regia coraggiosa, quella di Karin Coonrod, che per amore del testo – come ha spiegato qualche giorno prima della prova generale a Pagine Ebraiche – si è permessa di scavarlo a fondo, e quindi di permettersi qualche libertà. Ma non quella libertà insidiosa che nei secoli han portato ai tagli più diversi, molto simili a forme di censura preventiva, volti a mitigare gli aspetti più controversi di un’opera che continua a far discutere, bensì interventi forti, in diverse lingue, fatti con l’intenzione opposta: riportare alla luce il valore e la complessità di un testo con cui è impossibile non confrontarsi. Dall’emozione – il famoso monologo di Shylock ha colpito tutti – alla frustrazione per la difficoltà di cogliere appieno le parole, rischio degli spettacoli all’aria aperta, dall’entusiasmo a qualche critica, il Mercante di Venezia, qui declinato come “The Merchant in Venice, a quattrocento anni dalla morte di Shakespeare e a cinque secolo dall’istituzione del Ghetto, continua a far discutere. Shylock è tornato.
Il dossier “Venezia – I 500 anni del Ghetto“, curato da Ada Treves e pubblicato nel numero di agosto di Pagine Ebraiche attualmente in distribuzione, dedica diverse pagine a “The Merchant in Venice”, riproponiamo qui il testo dedicato al Mercante, un incontro con la regista e con Frank London, che per lo spettacolo ha composto musica nuova.
Contraddizioni e sorprese, dal testo alla scena
Karin Coonrod e il coraggio di osare, per una regia che punta al cuore del Mercante
Una discussione, un gesto di sfida. Nell’impeto, al testo di Shakespeare si aggiungono o forse sostituiscono una sfilza di parolacce, pronunciate con un evidente accento toscano. Fino alla fine della scena la tensione resta altissima, gli attori nella parte. Karin Coonrod, la regista che porterà in Campo del Ghetto Novo per la prima volta Il mercante di Venezia non solo non è minimamente infastidita, ma mostra di aver apprezzato l’uso di un’altra lingua, l’aggiunta di sonorità inaspettate. No, le parolacce non resteranno, non verranno integrate nel testo, ma per gli attori della Compagnia de’ Colombari mescolare lingue e linguaggi è parte della normalità. Oltre all’inglese, dal 26 agosto al primo luglio in Campo risuoneranno anche tedesco, francese, spagnolo e italiano, lingue parlate dagli attori di una compagnia davvero internazionale fin dalla sua costituzione, che del mescolare e rimescolare lingue, generi e propositi ha fatto uno dei suo tratti distintivi. Le prove, nel teatro di Santa Marta, mostrano un gruppo che si sta integrando, che lavora e fatica, e anche che si diverte, in maniera evidente, spronato da una regista che moltissimo pretende, e che altrettanto riesce a dare ai suoi attori, con una passione impossibile da nascondere. Gesticola, animata, e solo quando la macchina fotografica la inquadra improvvisamente si trasforma in una personcina composta. Ma dura poco, il suo spirito riprende subito il sopravvento, per spiegare come mescolare i linguaggi sia una scelta di cui è assolutamente convinta: “Alla peggio nessuno capirà nulla – ride – ma davvero questo lavoro è tutto sull’alterità, e se un personaggio improvvisamente passa da una lingua all’altra allora è come una frattura, come uno slittamento di senso. Siamo una compagnia internazionale, lo siamo sempre stati, e per il Mercante questo è particolarmente importante. Avevo già messo in scena un Erico VIII plurilingue, e la stessa cosa aveva funzionato bene, credo, con la mia Giovanna D’Arco che improvvisamente ritornava alla lingua materna. Del resto ora si ‘va a vedere’ uno spettacolo, ma l’espressione originaria era ‘to hear a play’, ossia andare a sentire uno spettacolo”. Al tavolino del bar pieno di studenti, nel campiello assolato che si trova a pochi passi dal teatro, ad ascoltare attentamente ogni parola di Karin Coonrod c’è anche Frank London. Musicista e compositore, noto in Italia soprattutto per il suo lavoro con i Klezmatics, London sta lavorando con la compagnia e compone la musica per il Mercante man mano che le prove procedono. Suonerà anche, in scena, e presto il dialogo diventa continuazione del lavoro del mattino. E Frank London, altro personaggio vulcanico e inarrestabile, presto sbotta: “Lo so già, fra la messa in scena in ghetto e il mio lavoro sul klezmer tutti si aspettano un certo tipo di musica ebraica. Le solite cose note, sentite mille volte. Beh, saranno delusi”. Pare quasi divertito, e spiega che neppure la musica di Salomone Rossi, per esempio, che potrebbe sembrare una suggestione obbligata, corrisponde alle scelte che si stanno imponendo durante il lavoro.
Echi dalla chazanut risuoneranno invece in un assolo di tromba, che arriverà ad accompagnare la fuga di Jessica. Musica disperata, grido di dolore. Un altro scambio di identità, in cui un allontanamento dall’ebraismo corrisponde a un’emozione ispirata dalla tradizione. Ma gli scambi sono parte integrante di tutto il Mercante: “Ora mettere uomini nelle parti delle donne e viceversa è di moda, spiega Coonrod, ma la fluidità fra i generi c’era già in Shakespeare. L’attore shakespeariano ideale è androgino”.
La domanda con cui devono confrontarsi gli attori è impegnativa: chi sono io? Come arrivo a definire la mia identità? Un solo Shylock non basta a rispondere, così in Ghetto se ne vedranno cinque. Quattro uomini e una donna. Contraddizioni, scelte inaspettate. Il monologo più noto avrà voce di donna.
La fotografia delle prove generali che ritrae Sorab Wadia, Stefano Scherini, Ned Eisenberg, Adriano Iurissevich e Linda Powell è di Andrea Messana
Ada Treves twitter @atrevesmoked
da Pagine Ebraiche, agosto 2016
(26 luglio 2016)