Jihad, l’ultimo confine
L’orrenda azione terroristica compiuta ieri in Normandia segna, per molti analisti, la violazione “dell’ultimo confine”.
Scrive Bernardo Valli su Repubblica: “I jihadisti hanno colpito i redattori di Charlie Hebdo giudicati blasfemi e gli ebrei del negozio kasher della Porte de Vincennes; poi hanno aggredito i parigini durante il weekend allo stadio, nei caffè affacciati sulla Senna, al Bataclan dove si suonava il rock; e hanno falciato i cittadini che a Nizza, davanti al Mediterraneo, festeggiavano il 14 luglio. Le chiese non erano state violate”.
“Il Signore ispiri a tutti pensieri di riconciliazione e fraternità in questa nuova prova” dice Bergoglio in un telegramma, a firma del segretario di stato vaticano, cardinale Pietro Parolin, inviato all’arcivescovo di Rouen, monsignor Dominique Lebrun. “Ancora sangue, sangue su sangue, che si aggiunge a quello versato in molti luoghi, da troppo tempo, ma soprattutto nel Medio e nel Vicino oriente, in Africa, ora anche in Europa, spesso ostentando e dunque profanando apertamente il nome di Dio, comunque offeso e ferito ogni volta che si uccide un essere umano” scrive il direttore dell’Osservatore Romano Giovanni Maria Vian.
Spazio sui giornali (Il Sole 24 Ore, tra gli altri) per l’intervento di solidarietà del presidente UCEI Noemi Di Segni a nome di tutti gli ebrei italiani. “Un’azione – le sue parole – che ancora una volta sconvolge per la brutalità e la ferocia e che deve trovarci tutti uniti non solo nella condanna, ma anche nella volontà di non rinunciare a vivere appieno la nostra quotidianità”.
Elevate intanto le misure di sicurezza in molti luoghi e obiettivi sensibili anche in Italia. In Laguna, per il Mercante di Venezia, alla cui rappresentazione in GHetto assisterà oggi anche la presidente dell’Unione, allestito un checkpoint (Corriere del Veneto).
Sempre Noemi Di Segni è oggi protagonista, sul settimanale Donna Moderna, di un ampio colloquio sui temi e le sfide del suo mandato. Alla domanda su quali valori possa portare l’ebraismo oggi in Italia e in Europa, Di Segni risponde: “La vocazione a confrontarsi, ad approfondire, al porre sempre domande cercando risposte. L’importanza dell’alfabetizzazione, del saper leggere dalla prima infanzia, della conoscenza. E il valore della vita, che per noi è sacra e va salvata”.
“Le autorità – afferma la presidente UCEI in un altro passaggio – devono riconoscere i segnali di pericolo e in Italia credo che siamo in buone mani. Ma la nostra vita quotidiana deve andare avanti e a noi genitori e insegnanti tocca spiegare ai giovani quanto il mondo sia cambiato senza però trasmettere la paura. Bisogna insegnare ai bambini l’affettività, la carezza, il rispetto: ognuno di noi ha la propria ricchezza culturale e va apprezzata. Non si può crescere nel timore dell’altro”.
Sull’Osservatore Romano, una riflessione del rabbino Abraham Skorka sulla scelta del papa di restare in silenzio ad Auschwitz-Birkenau. “Nella nostra ultima conversazione – scrive il rabbino, amico di lunga data con Bergoglio – Papa Francesco mi ha spiegato che nella sua visita ad Auschwitz ha scelto di esprimersi attraverso il silenzio. Forse perché tutto quello che aveva da dire lo ha già detto nel suo messaggio allo Yad Vashem, a Gerusalemme, e nelle parole che ci siamo scambiati nel nostro incontro a Buenos Aires, poi riprese nel libro Il cielo e la terra (2010). L’arcivescovo di Buenos Aires affermava: ‘La Shoah è un genocidio come gli altri genocidi del XX secolo, ma ha una particolarità. Non intendo dire che è di primaria importanza mentre gli altri sono di secondaria importanza, ma c’è una particolarità, una costruzione idolatrica contro il popolo ebreo. La razza pura e l’essere superiore sono gli idoli sulla cui base si costituì il nazismo. Non è solo un problema geopolitico, ma esiste anche una questione religiosa e culturale. E ogni ebreo che veniva ucciso era uno schiaffo al Dio vivo in nome degli idoli'”.
Una richiesta di risarcimento per “il danno subito allora”. È l’ultima boutade di Abu Mazen, che intende chiedere al governo britannico un indennizzo per gli effetti della dichiarazione Balfour, il documento ufficiale del 1917 in cui Londra si esprimeva con favore alla creazione di un ‘focolare ebraico’ nell’allora Palestina. “Per carattere e attitudine politica – si legge sul Corriere – il premier israeliano preferisce mantenere la situazione esistente, le provocazioni come la richiesta di risarcimento lo irrigidiscono nelle sue posizioni, considera Abu Mazen inaffidabile. Un analista ieri ricordava che un paio di anni fa anche gli egiziani avevano pensato agli indennizzi per la Storia, dagli ottomani al protettorato britannico. Agli israeliani avrebbero domandato i danni per le Dieci Piaghe”.
Adam Smulevich twitter @asmulevichmoked
(27 luglio 2016)