VENEZIA, GLI EBREI, L’EUROPA – IL PROCESSO Quelle domande che danno fastidio

shylockA quattro secoli dalla stesura e dalla sua prima rappresentazione, Il Mercante di Venezia continua ad essere un’opera complessa ed enigmatica, da cui scaturiscono più domande che risposte. Il quesito posto sotto mentite spoglie da Porzia al suo ingresso nel tribunale – “Chi è il mercante qui, e chi l’ebreo?”- deve essere inteso letteralmente o preso per una battuta? Seguiamo la versione in Folio del 1623, quando Gobbo dice a Jessica: “Se un cristiano non fa il furfante per prenderti, mi sbaglio di grosso” o il testo del 1632 dove il tempo verbale è diverso (“ha fatto”, invece di “fa”, la lettura preferita da molti editori moderni, suggerisce Shylock sia stato tradito e il vero padre di Jessica fosse un cristiano)? Porzia è razzista quando dice del suo corteggiatore deluso, un principe del Marocco musulmano e dalla pelle scura: “Che tutti coloro che sono del suo colore mi scelgano così”? Antonio è “così triste” a causa delle sue preoccupazioni per i soldi o perché il suo amore non autorizzato per Bassanio non è corrisposto? L’opera è problematica perché il ritratto di Shylock è brutalmente antisemita? O, invece, risulta sconcertante perché mostra come orrendi pregiudizi condizionano il pensiero o l’azione di coloro che hanno incertezze sulla propria identità – gentili o ebrei – quando si trovavano sotto minaccia? O, forse, lo è perché evidenzia come l’ostilità nei confronti di ogni tipo di differenza (razziale, nazionale, sessuale o religiosa) sfigura gli intolleranti e inasprisce qualsiasi società che la legittimi? Ogni produzione e ogni rilettura di quest’opera inquietante ci sfida a confrontarci con queste e molte altre domande che continuano a dare fastidio.

James Shapiro, Columbia
Pagine Ebraiche, agosto 2016


(Traduzione di Ilaria Modena, studentessa della Scuola Superiore per Traduttori di Trieste e tirocinante presso la redazione giornalistica UCEI. Nell’immagine un particolare del figurino di Shylock per Il mercante di Venezia 1934. Titina Rota, collezione di Silvia Blanchaert Rota, Milano)