La sorte della signora

Valerio FiandraChe ne sarà della signora Schroeder? La sua ingenuità la porterà in prigione o peggio, o la salverà dalla reclusione ma le lascerà abbastanza tempo per rendersi forse conto della tragedia di cui è stata peggio che spettatrice, comparsa?
Al termine della lettura del miglior libro che ho letto in questi giorni di afa e noia – Il Signor Norris Se Ne Va (Christopher Isherwood – Adelphi, 18 Euro, traduzione Piero Leoni) – è di lei che mi preoccupo, non di Norris né di Bradshaw, che ne sono rispettivamente il protagonista e l’osservatore narrante.
Scritto nei primi anni trenta, ambientato soprattutto nella Berlino che sta per diventare la Sala delle Torture che sappiamo, questa commedia in prosa è insieme operetta e sabba infernale. La leggerezza pietosa, o il distacco pessimista dell’alter ego dell’autore inglese – William Bradshaw – sono le chiavi musicali per suonare/leggere questo romanzo di spie e profumi.
Tutto comincia nello scompartimento di un treno che sta per attraversare la frontiera porta dall’Olanda alla Germania. Il narratore e co protagonista William Bradshaw, giovane e inglese, osserva i tratti somatici e il comportamento del suo compagno di viaggio, un uomo che si dice anziano anche se ha poco più di cinquant’anni, e prova per lui diffidenza e tenerezza. La sua buona, affettata educazione e l’incapacità di sorvegliare il proprio comportamento che a parole, tanto più esagerate quanto più rivelatrici del suo stato, spingono Bradshaw a un istinto di protezione per lui che lo metterà quasi senza accorgersene in guai seri. Che Norris non sia chi simula di essere è ben chiaro, ma chi sia no: un dandy delinquente, una spia, un comunista, un agente dei nazisti? Masochista, bugiardo, ambiguo, meschino e educatissimo – Norris è un inetto di talento o un utile cretino? Mistero dopo mistero, la storia si sviluppa – magnificamente osservata e raccontata – e si interseca con quella di Berlino che sta già per cadere nelle mani dei Nazisti.
Comprimari come Ludwig Bayer – il professore agitatore; Otto – il picchiatore allegro; Schmidt – il perfido segretario, e soprattutto la signora Schroeder – l’ingenua, efficiente, genuina affittuaria dell’appartamento di Bradshaw sono ritratti di tipi universali, ma perfettamente collocati sulla scena Berlinese, che non mi stupirei fossero stati copiati dal vero da parte dell’acutissimo osservatore-ascoltatore che è stato Isherwood.
E così – a passo di minuetto o di totentanz, fra profumi soavi e tanfo di bollito – tra farsa e tragedia si consuma una vicenda umana individuale intricata e sorprendente, ma che finisce per contare meno di quella collettiva che Isherwood, quando la scrive, ‘solo’ presagisce, ma che noi purtroppo conosciamo. Ma non la RIconosciamo quando certi sintomi molto simili a quelli che prepararono il nazismo si ripresentano sotto altra forma ma identiche spinte, come in questi nostri anni di Rideclino europeo.
Ed è per questo che ho a cuore la vita e la sorte delle signore Schroeder di tutti i tempi e luoghi: delle buone ingenue persone che non sanno cosa succede loro attorno, che scambiano un affaire politico per un una scappatella amorosa, o un tipo di totalitarismo per l’altro: sono comparse o complici?

Valerio Fiandra

(28 luglio 2016)