La mobilitazione degli ebrei francesi
“Uno Shabbat per padre Hamel”

korsia intervistato È stato un sabato di riflessione ma anche di speranza quello appena passato nelle sinagoghe francesi. All’entrata dello Shabbat il gran rabbino Haim Korsia aveva infatti invitato attraverso i social network alla celebrazione di un minuto di silenzio durante la preghiera in memoria di padre Jacques Hamel, barbaramente ucciso da due terroristi islamici nella sua chiesa di chiesa di Saint-Etienne-du-Rouvray, e alla recitazione di alcuni salmi che invocano alla protezione e alla pace. Per reagire e resistere alle tragedie che il terrorismo porta nel paese, alla Francia non serve solo la preghiera, ha esortato il rav, ma anche l’azione e la difesa dei valori della democrazia e della fratellanza: “Essere cittadini vuol dire anche avere dei doveri. Vuol dire fare degli sforzi e partecipare alla costruzione della Francia. La società ha per troppo tempo rinunciato a molti dei suoi riti repubblicani. Dobbiamo urgentemente riappropriarci dei nostri simboli – il suo appello – dobbiamo trovare il modo di condividere il tempo, di essere ‘contemporanei'”.
Tra i valori della Repubblica che per Korsia sono stati troppo negletti negli ultimi tempi, vi è in particolare quello della fratellanza: “Lo abbiamo ricordato l’11 gennaio 2015 quando tutta la Francia ha marciato insieme, ma una volta che abbiamo marciato non abbiamo continuato a dare alla fratellanza un contenuto concreto”, ha affermato in un’intervista a i24News, insieme ad Ahmet Ogras, vicepresidente del Consiglio Francese del Culto Musulmano e Padre Antoine de Romanet, parroco della chiesa di Notre-Dame d’Auteuil a Parigi. “Penso che invece quello che noi facciamo nei nostri rispettivi culti sia proprio saper rinnovare continuamente i nostri valori. All’ufficio di padre Hamel si può dire partecipassero poche persone – ha osservato Korsia – ma è proprio perché ci sono poche persone che il suo gesto è essenziale. Si tratta di una permanenza di cose e di riti, e lui incarna in questa maniera la fede, questa fede nei valori che fanno parte della nostra società francese, tra cui la fratellanza, che dobbiamo imperativamente restaurare insieme”. Un imperativo tale in quanto l’unità della società francese nelle sue varie componenti costituisce secondo Korsia l’unica vera risposta al terrore: “Essere insieme è una forma di resistenza non passiva, ma attiva. La resistenza passiva è lasciar passare le cose, mentre quella attiva è promuovere i valori della Repubblica. In questo momento – ha rilevato il gran rabbino – ci troviamo in una continua replica, in una costante necessità di rispondere a degli atti di odio che ripetendosi finiscono per creare una sorta di flusso, in cui nessuno capisce più l’urgenza di agire. E agire è stare insieme”.
Quella contro il radicalismo e il terrorismo a cui esso conduce è per rav Korsia oggi una vera e propria guerra: “È giusto volere la pace, ma occorre essere realisti. Bisogna promuovere delle misure che impediscano di agire a coloro che vogliono fare del male, che tuttavia allo stesso tempo non fermino la nostra vita, e questo può avvenire soltanto in una società democratica”. In questo la Francia può secondo il rav, pur mantenendo intatto il proprio stile di vita, guardare con profitto al modello israeliano: “In Israele si esce, si va al ristorante, e del resto anche qua in Francia abbiamo avuto gli Europei di calcio, che sono visibilmente avvenuti, abbiamo avuto il Tour de France, con milioni di persone per le strade, anche quello svoltosi con clamore. Questo ci insegna – il suo appello – come sia necessario continuare a vivere, ma allo stesso tempo condividendo uno sforzo di vigilanza collettiva che credo sia una caratteristica delle grandi civiltà democratiche”. Uno sforzo che per il rav Korsia consiste in particolare nel saper ascoltare “i rumori bassi della società”, addentrandosi cioè in particolare nelle banlieue e “lavorare con l’educazione sulla generazione successiva”. In questo giocano un ruolo fondamentale proprio i riti repubblicani, come la Mersigliese o il tricolore, simboli di un’appartenenza e di un’adesione a dei valori. Ancora una volta il più importante è quello della fratellanza: “Penso che la nostra società, quella che costruiamo quotidianamente, debba sorgere sulla capacità di tenderci la mano. È difficile tendere la mano a qualcuno che è diverso da noi, che vive diversamente – le sue parole – ma è questa la grandezza dell’umanità. Credo infine in quello che diceva il rav Nahman di Breslav e cioè che il mondo intero è come un ponte molto stretto, l’essenziale è non avere paura di nulla”.

f.m. twitter @fmatalonmoked

(Nell’immagine, Haim Korsia intervistato insieme a Ahmet Ogras)

(31 luglio 2016)