Italiani, la migrazione ci unisce

zevi Con la sua penna meravigliosamente corrosiva, Gian Antonio Stella ha raccontato, la settimana scorsa, la vicenda grottesca del Museo dell’emigrazione italiana: un’esposizione collocata tra 2009 e 2015 nel complesso del Vittoriano, a Roma, sede di mostre anche prestigiose e di numerose inaugurazioni, appuntamenti istituzionali, eventi pubblici. Fino alla chiusura definitiva nel 2015 e al comico epilogo del sito internet (www.museonazionaleemigrazione.it) che rimanda a portali pornografici (nel frattempo, immaginiamo, rimossi).
La vita breve ma intensa dello spazio si intreccia con quella del Museo del Mare di Genova che, al contrario della struttura romana, non è mai stato provvisorio e ha dunque potuto avvalersi di una progettazione intelligente e qualificata. Quindi, tutto è bene quel che finisce bene? Abbandonato lo sciatto esperimento romano, valorizziamo il polo genovese, sorto a pochi metri dai moli che videro salpare milioni di italiani?
Non proprio. Innanzitutto, perché la capitale d’Italia ha ovviamente un prestigio diverso rispetto a una città pur importantissima come Genova; in secondo luogo, perché questa esistenza accidentata illumina bene i limiti del Vittoriano che – al di là del giudizio architettonico – dovrebbe rappresentare fisicamente l’unità nazionale e la patria; infine, perché l’intera querelle testimonia una difficoltà tutta italiana, quella di costruire una narrazione efficace e fondativa sull’epopea dell’emigrazione otto-novecentesca, una delle pagine più drammatiche e decisive della storia nazionale.
In un’epoca di così grandi incertezze, poche cose possono unire gli italiani quanto il ricordo degli antenati che presero il mare, dal Nord e dal Sud, per cercare un destino più favorevole. Milioni di persone che affrontarono prove durissime e ottennero in molti casi straordinario successo, spesso pagando un presso elevato. Pochissimi giovani di oggi saprebbero rispondere a una domanda su Marcinelle o descrivere le condizioni in cui vissero i connazionali nel Nord Europa, eppure questi ricordi potrebbero essere dei potenti volani per forgiare un’identità condivisa.
Da questo punto di vista, la sfida di un Museo nazionale dell’emigrazione andrebbe forse rilanciata, proprio da Roma. Magari scegliendo un luogo migliore del Vittoriano, oppure aprendo una riflessione seria su un complesso edilizio privo di personalità in una piazza altrettanto priva di personalità. Una sfida – quella del Museo – quanto mai attuale, se pensiamo che, nel frattempo, alla centralità che la questione dell’immigrazione ha assunto nella vita dei cittadini italiani ed europei, e che questo fenomeno epocale non può essere affrontato solo sul piano operativo, trascurando la dimensione culturale.

Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas @tobiazevi

(3 agosto 2016)