RiMEIScolando – In Puglia

simonetta della setaÈ proprio vero che sulle coste pugliesi si ritrova la stessa luce che illumina la Terra di Israele. Gli ebrei che vi arrivavano da Sud dovevano sentirci qualcosa di famigliare. Anche per questo il nostro Sud, e in particolare questo Sud, è stata meta di passaggio, ma anche di vera e propria vita ebraica.
Quando ci si affaccia improvvisamente sul lungomare di Trani si prova una suggestione inconfondibile. Quella di essere a casa. La pietra chiara che divide il blu del mare dal blu del cielo. La forza del sole. La limpidezza dell’aria.
Qui è impossibile non sentire forte, anche solo per la presenza aperta del mare, una tensione verso mondi nuovi. E sempre qui questa tensione si mescola al concetto ebraico di cambiare il mondo, elevandolo, migliorandolo. Da questo lido mite è possibile immaginare un orizzonte diverso. “Il lupo dimorerà con l’agnello e il leopardo con il capretto” (Isaia 11). Sappiamo bene che l’espressione più forte di questa tensione è il messianismo, ovvero l’attesa e l’immaginazione di un mondo assai più perfetto, con una palingenesi, un cambiamento totale di tutto. Qui in Puglia, devono aver provato in diversi ad andarci vicini. Penso che non a caso la leggenda del Golem sia iniziata in realtà molto prima del Maharal di Praga proprio da queste parti. Il primo che ne parla è una tale Achimaz ben Paltiel (XI sec). Viene da Oria, qui a due passi, e narra che un rabbino di Bagdad scoprì, a Benevento, un Golem, ovvero un ragazzo al quale attraverso una serie di lettere e formule era stata donata la vita eterna. In questa sua strana cronaca, Achimaz ben Paltiel tra XI inizio XII sec. dice che i sapienti (chachamim) di Oria, erano in grado 200 anni prima (IX-X secolo) di creare dei GOLEM, un essere senza anima, come anche definito nel Talmud (trattato Sanhedrin). Ma che poi smisero di farlo perché il Signore li pregò di interrompere la pericolosa pratica.
Oria, Trani, Bari, Otranto, Lecce. Migliaia di ebrei vissero in Puglia. Mercanti, studiosi, rabbini, venditori di seta. Hanno popolato queste terre dall’epoca romana fino al 1541, quando vi furono espulsi. Erano arrivati da Sud, ovvero dalla Terra di Israele, ma anche da Ovest, ovvero da Spagna e Portogallo, e anche da Nord, ebrei ashkenaziti profughi dalla Provenza e dalla Germania, per fuggire ad esempio, alle crociate. Francesco Lotoro, ebreo di Barletta, racconta questa storia con orgoglio, spiegando come sia stato possibile recuperare all’ebraismo una sinagoga che era stata trasformata in chiesa: Santa Maria di Scolanova. Vi si accede da una fitta rete di vicoli e viuzze che incoronano la vecchia Giudecca. In questo stretto quartiere sorgevano un tempo quattro sinagoghe, trasformate in chiese già alla fine del 1300. Ma Santa Maria in Scolanova, costruita proprio dalla comunità ashkenazita di Trani, ha mantenuto inalterata la struttura originaria ed è stato molto semplice individuare dove fosse l’Aron Ha Kodesh, ovvero l’Arca Santa con i Rotoli della Torah. Per cancellarne la memoria, vi avevano dipinto un affresco cristiano, il cui destino ha occupato durante l’ultimo decennio gli ebrei di Puglia e non solo. Come liberarsene, senza distruggerlo. Ma una soluzione è stata trovata, e Lotoro è felice di sottolineare che il compromesso sia stato approvato da tutti, Chiesa locale e Rabbinato israeliano inclusi. Questa, ormai, è a tutti gli effetti un beit ha knesset, ovvero una sinagoga. E ogni tanto i pochissimi ebrei di Trani (e di tutta la zona) godono perfino di un minian (ovvero del numero di dieci uomini grazie al quale si possono recitare le preghiere collettive). Un visitatore americano gli chiede se le sinagoghe possano avere le campane. Lui risponde che nulla lo vieta, ma poi ci avvisa che presto sulla sinagoga svetterà una Menorah, il candelabro a sette braccia. Già, al posto della croce, spicca un Magen David, la Stella di David. In fondo non ci sta così male. Girando l’angolo, Lotoro mi indica quella che doveva essere l’entrata a una sinagoga ancora più grande. Sopra la porta due bassorilievi di un cedro e un melograno. Guardo quella pietra bianca, lavorata centinaia di anni fa da mani ebraiche desiderosi di tramandare dall’altra parte del mare i simboli della Terra Promessa. Chissà quanto durava il viaggio. Oggi invece ci sono charter tra Tel Aviv e Brindisi e gli israeliani tornano a visitare luoghi di antico retaggio, o di ricordo recente, perché fu sempre la Puglia a ospitare migliaia di profughi ebrei durante la seconda guerra mondiale, e ancora ad applaudire al passaggio della Brigata Ebraica durante il processo di liberazione della Penisola. Sempre dalla Puglia partì un giorno del ’43 Enzo Sereni per paracadutarsi sulle linee nemiche, nel tentativo di aiutare i confratelli italiani braccati dai nazisti. Non vi fece più ritorno, ma qualcuno lo ricorda, preoccupato ma ancora sorridente, in Terra di Puglia. Una lingua fertile a tante miglia da Giaffa e da Acri (Acco), eppure così vicina, per stratificazioni della storia, al cuore degli ebrei.

Simonetta Della Seta, direttore Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah

(3 agosto 2016)