Donald, il corridore sfortunato
A Rio per il riscatto nei 400
Difficile immaginare che possa essere più sfortunato di quattro anni fa, quando poco prima di gareggiare ai giochi Olimpici di Londra gli rubarono le scarpe. Uno strumento indispensabile, visto che la sua disciplina è la corsa, i 400 metri per la precisione. Per questo Donald Sanford, 29 anni, corridore statunitense naturalizzato israeliano, è fiducioso mentre si appresta a competere a Rio rappresentando Israele. “Più mi avvicino alla gara, più sono sicuro di me”, ha infatti detto in un video diffuso sui social media ufficiali della squadra israeliana.”Non rappresento solo me e la mia famiglia – ha aggiunto – rappresento Israele. Sapete, è qualcosa che offre molto di cui essere orgogliosi”.
L’episodio del furto delle scarpe dalla sua borsa a pochi minuti dal fischio d’inizio delle gare di qualificazione decise, in negativo, per l’esito degli ultimi Giochi olimpici, dove Sanford fu costretto a gareggiare con quelle di un collega, riuscendo a piazzarsi solo 26esimo nonostante su di lui ci fossero molte aspettative. Londra 2012 era il primo grande evento sportivo in cui rappresentava Israele, riuscendo a ottenere il lasciapassare solo poche settimane prima dall’avvio della manifestazione, ma nonostante la delusione negli anni successivi è riuscito a guadagnarsi nuove soddisfazioni sempre con i colori bianco e blu. Nel 2014, Sanford è infatti arrivato terzo nei 400 ai Campionati europei di atletica leggera, stabilendo un nuovo record nazionale e dedicando la sua vittoria alle Forze di difesa israeliane di Tsahal. A giugno dell’anno scorso poi, nella prima edizione dei Giochi europei a Baku, in Azerbaigian, è arrivato davanti a tutti, vincendo nella sua specialità.
Nato in California, Donald corre da quando ha dieci anni, con sua madre Debra Blair come allenatrice. La sua carriera sportiva ha preso una svolta all’università, dove ha gareggiato per la Arizona State University, per la Morgan State University e per il Central Arizona College. È lì che ha conosciuto sua moglie Danielle Dekel, anche lei studentessa, giocatrice nella squadra di pallacanestro dell’ateneo. Per lei si è trasferito in Israele, sposandola nel 2008 e ottenendo la naturalizzazione giusto in tempo per la qualificazione a Londra 2012. Poco prima era nata anche la loro figlia Amy, con cui vivono nel kibbutz Ein Shemer.
“Per Rio mi sono allenato davvero intensamente, e lo adoro, ogni giorno di più. È quello per cui vivo”, ha raccontato Sanford. Per lui, la preparazione non riguarda solo la forma fisica, ma anche uno stato mentale: “Certo, rendo il mio corpo più forte, ma essere pronti per i Giochi olimpici significa anche perseguire una grande forza mentale. Novanta mila persone saranno presenti allo stadio per guardarmi correre – ha osservato – e milioni di persone in tutto il mondo saranno alla televisione. È facile perdere la concentrazione e non avere la giusta fermezza”. Ma lui in fondo sa mantenere la calma: “Qualche volta sono nervoso nei secondi prima della gara, ma quando parte lo sparo d’avvio, bum! ‘ani muchan’, sono pronto a partire e sono felice”.
Nel tempo, Donald ha anche dovuto rispondere alle voci di chi non si fidava del suo vero attaccamento alla maglia israeliana. Ma lui si è sempre mostrato orgoglioso, e volenteroso di portare il suo contributo nel mondo dello sport del paese. “In America si comincia subito al cento percento con lo sport. Alle medie e al liceo è parte del programma curricolare. Ma in Israele invece non è essenziale”, ha detto. “Per questo cerco di essere il più possibile un esempio. È giusto che i bambini siano a contatto con lo sport”. E mentre nel video della squadra israeliana lo si vede baciare la felpa con il nome del suo paese, la sua voce fuori campo ringrazia i suoi concittadini: “sto facendo questo per voi, e quando sono lì nell’arena penso a tutte le persone in Israele che mi sostengono”.
f.m. twitter @fmatalonmoked
(7 agosto 2016)