Rio 2016 – Ledecky, la più forte in vasca
nuota anche per la Memoria
Che cosa ha portato Katie Ledecky a diventare una delle più forti – anzi la più forte nuotatrice al mondo? “Non lo so, è difficile per me dirlo con esattezza“, risponde lei. “Magari lo capirò più avanti nella vita, cosa mi ha motivata, cosa mi ha guidata“. Perché nella sua straordinaria carriera, fatta di vittorie in ogni gara internazionale a cui abbia partecipato dal suo debutto a quindici anni ai Giochi olimpici di Londra 2012, di record mondiali uno più sorprendente dell’altro, e di nuotatori uomini sconvolti di essere stati battuti da lei, quello che più stupisce è la forza, la determinazione, quasi la furia che la anima. Da dove provenga è una specie di mistero, perché con essa una volta in vasca si trasforma dalla ragazza della porta accanto, dalle qualità fisiche completamente nella norma, all’imbattibile atleta della corsia accanto. In un lungo ritratto recentemente pubblicato su Sports Illustrated, l’autore S.L. Price si risponde che a fare da”carburante“ sono un misto di elementi della sua storia famigliare e della sua biografia che l’hanno forgiata. Tra questi, anche “un cimitero ebraico di Praga“. È quello dove l’ha portata sua nonna Berta, oggi 83enne, quando aveva dieci anni, per farle vedere tutti i nomi dei suoi avi morti durante la Shoah, da cui lei si è salvata.
Berta e suo marito Jaromir, anche lui emigrato dall’attuale Repubblica Ceca ma non ebreo, si sono incontrati già negli Stati Uniti, nel 1956. Jaromir, o come si fa chiamare, Jerry, era arrivato con soli cinque dollari in tasca, e due ore dopo che aveva visto Berta le aveva già chiesto di sposarla. Quando lei gli rispose di no, fece di tutto per conquistarla, persino accertarsi che arrivasse a casa sana e salva dopo appuntamenti con altri uomini e perdere venti chili, finché si sposarono nel giro di un anno. L’istruzione e i libri erano tutto in casa loro, e Jerry lavorava come economista mentre frequentava la NYU di notte, ottenendo un master e un dottorato. Ma anche Berta non era da meno. Per un anno ha infatti lavorato come traduttrice per Albert Einstein al Polytechnic Institute of Brooklyn, ma ha anche scritto e pubblicato delle storie con protagonisti dei veterani del Vietnam e recuperato dei manoscritti dalla Cecoslovacchia comunista. I due vissero a New York fino al 1972 e ebbero due figli, Jon e David, padre di Katie, che ritiene che molta della tempra della figlia derivi proprio dalle figure di questi due nonni. Poi si trasferirono alla periferia di Washington, e lì purtroppo Berta dovette provare sulle sue spalle il peso dell’antisemitismo, che si ripercosse leggermente anche sulla sua famiglia. Un gruppo di bulletti ad esempio il primo giorno di scuola lanciarono Jon in una cesta in palestra, “perché aveva un forte accento newyorchese ed era un arrivista“, ha raccontato David. “Ma alla fine dell’ano – ha rassicurato – era il capo della scuola“. Insomma, gli anni passarono e quando Jaromir compì ottant’anni volle andare con tutta la famiglia per festeggiare a Praga, che rimase sempre nel suo cuore e di cui aveva terribilmente nostalgia nonostante amasse fortemente l’America. Fu in quell’occasione che Berta portò Katie nel cimitero ebraico, dando vita all’episodio che ha segnato la sua storia.
Per il resto, si continua a non sapere esattamente perché sia così straordinaria. Sì, conduce una vita salutare e regolare, i suoi genitori non le hanno trasmesso troppa ansia da prestazione, ma non si sono riscontrati doni fisici sovrannaturali. Insomma, dovrebbe essere brava, ma nell’acqua non lo è – è uno squalo. Eccelle fisicamente, ha un’etica del lavoro rigorosissima, uno spirito competitivo forte, i nervi saldi, tutte le qualità che servono per essere una campionessa olimpica. Ma fuori dall’acqua resta una teenager americana normale, sempre sorridente e rilassata. Ledecky non ha nemmeno deciso di rendere il nuoto una professione. Infatti mentre vinceva svariati ori olimpici e non, ha frequentato corsi di storia e politica cinese alla Georgetown University, e in autunno andrà a Stanford, proseguendo come se niente fosse la tradizione Ivy League della sua famiglia. Per il resto non è particolarmente alta o particolarmente atletica – non come il suo collega Michael Phelps che si dice abbia un corpo disegnato per il nuoto – tanto che il suo allenatore, quando ha iniziato a prepararla, ha trovato che non era nemmeno in grado di “fare tre flessioni consecutive“.
Sta di fatto che oggi Katie si allena con gli uomini, che soffrono anche un po’ a essere battuti da lei, secondo quanto ha raccontato proprio Phelps. Ai campionati nazionali del 2015, dopo aver stabilito il record mondiale dei 1500 metri, è tornata in acqua 29 minuti dopo e non si sa come è riuscita a qualificarsi anche per la finale dei 200, che poi naturalmente ha anche vinto. Dal 2012 di record mondiali ne ha stabiliti altri 11, spesso superando non altri che se stessa, e anche a Rio ha già cominciato a vincere, con un oro e annesso primato nei 400 metri a stile libero. Per il momento, non ha mai perso in una finale di un evento internazionale, ed è data per favorita un po’ in tutto. E si può dire che si capisce il perché.
f.m. twitter @fmatalonmoked
(9 agosto 2016)